Politica

Caso Mondadori, le tre menzogne del fondatore di "Repubblica"

Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano La Repubblica, ha iniziato a compilare la lista di proscrizione dei giornalisti che non vogliono vedere Berlusconi morto. Il primo nome è quello di Ferruccio de Bortoli, reo, a suo dire, di non schierare apertamente e platealmente il Corriere della Sera contro il premier. A Scalfari, salito di volta in volta con disinvoltura sui tram del fascismo, del Psi di Bettino Craxi e della Dc di Ciriaco De Mita, non basta che il quotidiano rivale di via Solferino abbia innescato il caso D’Addario, raccogliendone per primo la confessione sulle notti a Palazzo Grazioli; non basta che De Bortoli abbia pubblicato in esclusiva i verbali con gli interrogatori delle ragazze ospiti a Villa Certosa; non basta neppure che la Rizzoli abbia dato alle stampe una riedizione del libro con le accuse di Veronica Lario al marito Silvio. No, lui vuole, direi pretende, che il Corriere chini la testa e si accodi senza indugi alla campagna di La Repubblica senza se e senza ma. Questa è la sua concezione di libertà di stampa: o state con noi o siete dei servi.
L’uomo dalla schiena diritta, che come detto sopra l’ha piegata più volte in vita sua al potente di turno poi immancabilmente rinnegato (e che per la verità porta anche un po’ di sfiga visto che dei suoi tre idoli uno è finito a testa in giù a piazzale Loreto, il secondo è morto esule ad Hammamet, il terzo sopravvive in disgrazia a Nusco, il quarto, De Benedetti, dicono che spesso tocchi ferro), dicevamo l’uomo dalla schiena diritta in realtà si è prostrato anche con Silvio Berlusconi al quale anni fa chiese, invano, aiuto e protezione dall’inaffidabile Carlo De Benedetti. Glielo ha ricordato lo stesso De Bortoli durante la trasmissione L’Infedele di lunedì scorso. Apriti cielo. «Non è vero», ha tuonato in un primo tempo un imbarazzato Scalfari. Che il giorno successivo, per non cadere nel ridicolo, ha ammesso di essere stato una volta a cena ad Arcore, ma nel lontano 1984 durante la trattativa per la vendita di Rete4 dalla Mondadori al gruppo Fininvest. La seconda bugia è durata lo spazio di poche ore. Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, lo ha corretto: quell’incontro non fu nell’84 e non riguardava Rete4. Avvenne nell’89 e aveva a tema proprio il futuro di La Repubblica e dell’Espresso, che Scalfari e Carlo Caracciolo avevano da poco venduto alla Mondadori di Carlo De Benedetti in cambio di trecento miliardi di lire di allora, 80 al primo e 320 al secondo.
Confalonieri ricorda bene quella cena perché c’era. Stava per iniziare la guerra di Segrate, cioè la contesa tra De Benedetti e Berlusconi per il controllo della Mondadori. I due ex padroni di La Repubblica erano molto preoccupati perché dentro la grande Mondadori debenedettiana si sentivano - il presidente di Mediaset cita testualmente una metafora che gli è rimasta impressa - «come una casetta dentro un grande piano di lottizzazione: circondati». Insomma, Scalfari chiese a Silvio di intervenire in Mondadori per ridimensionare il potere di De Benedetti. Come andò a finire lo sappiamo: la Mondadori finì totalmente nelle mani di Berlusconi, ma spogliata, su imposizione di Craxi e Andreotti, di La Repubblica e dell’Espresso che restarono all’Ingegnere.
Obiezione: la parola di Confalonieri contro quella di Scalfari, visto che Caracciolo è morto e Berlusconi è parte in causa. Il giallo resta? Per niente. A sbugiardare per la terza volta Eugenio Scalfari ci pensa Eugenio Scalfari. Scrive il fondatore di La Repubblica in un articolo pubblicato su L’Espresso del 5 febbraio 2004: «Ho conosciuto Berlusconi e poi anche frequentato in due fasi diverse, la prima in rappresentanza del socio di minoranza di Rete4, poi qualche anno dopo durante la famosa guerra di Segrate». Ora, può un uomo che mente non ricordandosi più quanto ha scritto cinque anni fa, candidarsi a dettare le nuove tavole della legge della moralità italiana? È questo che intende per libertà di informazione? La verità è che il primo incontro con Berlusconi, fastidioso ma non compromettente per il suo nuovo ruolo, alla fine lo ha ammesso. Il secondo, direi imbarazzante alla luce di ciò che scrive e fa scrivere sul Cavaliere, lo ha rimosso. Come ha rimosso di essere stato fascista, craxiano e demitiano. Ma, se Dio vuole, esistono gli archivi.

E il voto della gente.

Commenti