Milano Annamaria Fiorillo non molla. Catapultata sulla ribalta del «Rubygate» - l’inchiesta sui rapporti tra la giovane marocchina Karima El Mahroug, alias «Ruby Rubacuori», e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - la dottoressa Fiorillo pare abbia deciso di difendere a tutti i costi la sua versione dei fatti. E ieri va in televisione a ripetere la sua verità: pur sapendo di rischiare un procedimento disciplinare, visto che il suo capo, il procuratore Monica Frediani, le ha appena scritto una lettera per ricordarle che non è consentito ai singoli pubblici ministeri andare a parlare dei loro fascicoli ai mezzi di informazione. Ma la Fiorillo insiste: la notte del 27 maggio scorso - dice ieri nel corso di «In mezz’ora», il programma di Lucia Annunziata - non ho affatto autorizzato l’affidamento di «Ruby» alla consigliera regionale Nicole Minetti. Per me, dice, la ragazzina doveva andare in comunità. Fine. Quel che è avvenuto dopo è accaduto contro le mie disposizioni.
La pm Fiorillo ha parole severe per tutti quelli che dicono il contrario: a partire dal ministro degli Interni Roberto Maroni («parla per ragion di Stato»), per la commissaria Giorgia Iafrate («era molto rigida, come se non potesse fare e dire altro»), per i vertici della questura («hanno fatto quello che volevano loro»). Ma ha anche qualche accenno di autocritica. «Forse quella notte avrei dovuto insistere di più, avrei dovuto chiedere alla Iafrate di passarmi i suoi superiori», ammette. E soprattutto si rimprovera la prima relazione che lei stessa ha inviato ai suoi superiori, quella in cui sembrava non avere ricordi precisi di quanto accadde alla fine: «Scrissi: non ricordo di avere autorizzato l’affidamento della minore. E forse avrei dovuto scrivere: ricordo di non avere autorizzato l’affidamento».
La differenza è sostanziale: tanto che Lucia Annunziata definisce quel «non ricordo» della dottoressa «la corda con cui la stanno impiccando». Ora, invece, la memoria della Fiorillo si è fatta più precisa. «Quella notte ho dato le disposizioni che avrebbe dato qualsiasi magistrato - ha spiegato Fiorillo - effettuare i rilievi dattiloscopici, identificare cioè la minore perché non aveva documenti e affidarla a una comunità protetta. In caso di mancanza di posti in comunità, come mi venne detto quella sera, di trattenerla in Questura fino alla mattina dopo, per poi riprendere la ricerca dei posti in comunità».
Si potrebbe ricordarle che ormai a dire che quella note non fu violata nessuna regola non ci sono solo il ministro e i poliziotti, ma anche la magistratura. C’è il procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati, che ha già chiuso con il filone di indagine relativo alla notte del 27 maggio accertando la «regolarità delle procedure». E c’è ancora prima il tribunale dei minorenni, che già il 2 luglio scorso - come ha rivelato il Giornale - aveva scritto che l’affidamento di «Ruby» alla Minetti era avvenuto «sentito il pm». Ma a questo la super ospite televisiva non risponde. Insomma, la dottoressa Fiorillo appare quasi isolata anche all’interno della sua categoria. Ma questo non sembra spaventarla: «Sono una persona comune che ricopre un ruolo importante», dice, con il suo orgoglio di donna che solo a 47 anni è riuscita a coronare il sogno di fare lo stesso mestiere del padre, anch’egli pretore a Milano.
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