È come nelle partite nei cortili: tutti contro tutti. Politici contro calciatori, calciatori contro presidenti, presidenti contro calciatori. Caste contro caste. La caccia alla strega del contributo di solidarietà manda nel pallone: e si arriva al calcio, certo. Perché lì girano soldi e lì c’è quella strana sensazione da corpo estraneo al mondo: come se fosse un videogame che non c’entra con la realtà, come se fossero marionette reali in un teatro immaginario. La discussione è surreale: i giocatori di calcio tirati dentro la questione della supertassa da pagare per la crisi, una mezza parola da parte dei loro rappresentanti, una da parte dei dirigenti e via con la risposta sproporzionata nei modi del leghista Calderoli: «E io adesso gli faccio pagare il doppio». Tutto surreale,perché non c’è né da alzare polveroni, né da fare i moralizzatori: se il contributo di solidarietà sarà confermato, lo dovranno pagare tutti coloro i quali percepiscono un reddito oltre i 90mila euro. Calciatori compresi. Punto. Non è che si possa discutere, non è che ci si possa permettere di escludere qualcuno. Viziato o non viziato. I calciatori pensano di essere esclusi? Se i loro contratti lo confermano, bene, altrimenti poche discussioni: pagare tutto, come tutti. Perché il principio di fondo è che questa supertassa non dovrebbe esistere, e non che ci debbano essere categorie escluse per presunti e potenziali meriti. Il che, onestamente, non è quello che chiedono i calciatori: loro sono convinti che, avendo trattato i loro ingaggi al netto, debbano percepire quanto pattuito con i club, a prescindere dal carico fiscale. Ai fiscalisti, e non sono a loro, risulta tutt’altro: non si tratta neanche di netto o lordo, non si tratta di Irpef o di buste paga, ma di un contributo extra, e così i giocatori dovranno pagare e basta. Non si capisce, d’altronde, perché dovrebbe essere il contrario. La questione è tecnica, anche se ovviamente è stata trasformata in politica: il calciatore è il capro espiatorio perfetto. È giovane, è ricco e spesso non fatica moltissimo per guadagnare tutti i soldi che ha. Per la vulgata è il prototipo del privilegiato, è il modello dello squilibrio retributivo, è il campione dell’ingiustizia sociale. È quello che crea invidia e Calderoli lo sa: attaccarlo è come lo slogan del celebre spot «ti piace vincere facile?». La gente vede quanto guadagna, sente che vorrebbe non pagare il contributo di solidarietà e s’incazza.Calderoli cavalca.Ci sta: populista, facile, forse anche un po’ banale, ma ci sta. In fondo è sempre il Casta contro Casta, dove però lo sportivo fa più rabbia perché è molto più ricco, è molto più giovane ed è anche molto più bello. Quello che è strano invece è che siano i club di calcio ad aggredire i calciatori:«Devono pagare loro».Il che va bene, sì. L’abbiamo detto. Però resta bizzarro: i calciatori pagheranno, come è giusto che sia, ma chi è che poi ne subirà le conseguenze? I presidenti ci hanno raccontato fino allo sfinimento che il problema del nostro calcio è il peso del fisco sui contratti dei giocatori: «Non vengono più in Italia perché altrove, in tutti gli altri Paesi, i giocatori pagano meno tasse ». Lo hanno sempre detto e continuano a dirlo, solo che adesso se ne dimenticano. Il contributo di solidarietà allontanerà ancor di più i giocatori più forti dall’Italia: neanche troppo alla lunga, il nostro calcio diventerà meno competitivo, meno vincente e quindi meno ricco. Significa che i club perderanno introiti, ricavi, guadagni. Bizzarro, no? I presidenti fanno il tifo per far pagare la supertassa ai loro giocatori sapendo che, prima o poi, ne pagheranno il prezzo sportivo ed economico. Oppure, più semplicemente, ne approfittano: deve passare il sacrosanto principio che il contributo sia a carico dei calciatori, tanto poi nessuno vieterà ai club di farsi carico del maxi prelievo per i soli giocatori che interessano di più.
Come dire: tu te lo paghi da solo; tu, invece, non preoccuparti, lo pago io per te. È un diritto anche questo, è un modo di trattare, è la conferma che non siamo tutti uguali. Fa parte della vita, figuriamoci del pallone. Però basta dirlo, senza vergognarsi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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