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Castelli «indaga» i Pm di Milano «Mai viste parcelle così alte»

È scontro tra ministro e Csm sulla direttiva europea per combattere la corruzione

Castelli «indaga» i Pm di Milano «Mai viste parcelle così alte»

Stefano Zurlo

da Milano

Cinque miliardi e trecento milioni di lire. Una parcella troppo cara, una cifra troppo alta che il ministro della giustizia Roberto Castelli contesta ora, sotto forma di azione disciplinare, ai pm milanesi Francesco Greco, Gherardo Colombo, Margherita Taddei. Sono i tre magistrati che a suo tempo si avvalsero dei revisori della Kpmg per studiare i bilanci consolidati 1989-96 del gruppo Fininvest, oggetto di un’inchiesta poi finita in prescrizione, e liquidarono ai tre periti quell’importo così consistente. Esagerato, per il ministro. «Io - spiega Castelli, a Milano per un convegno - facevo fra le mie varie attività anche il consulente tecnico del tribunale e, stante la rilevante entità di questa parcella, cinque miliardi e 300 milioni più Iva, mi sono incuriosito perché, quando facevo io il consulente, non ho mai emesso parcelle di questa natura».
Castelli si è letto tutto l’incartamento ed è arrivato ad una conclusione opposta a quella dei suoi ispettori; per gli 007 c’erano sì errori, ma nulla che giustificasse un procedimento contro i Pm, lui ha deciso di procedere, inviando il dossier alla Procura generale della Cassazione: «Ho rilevato quelle che, a mio avviso, sono delle irregolarità che hanno sicuramente rilevanza disciplinare. Poi ci sono anche altri aspetti sui quali non mi pronuncio». Quali? Il ministro è già oltre: «Ho trasmesso anche gli atti al Tesoro, perché questo tipo di transazioni sono anche di sua competenza. Diciamo che mi è stato risposto in modo sibillino. Comunque, secondo me, ci sono delle questioni rilevanti».
Così il ministro e il Pool sono di nuovo al centro di una polemica. E su quel caso si è consumato un primo strappo fra Castelli e il capo dell’ispettorato Giovanni Schiavon, poi silurato due settimane fa. «In effetti - prosegue il Guardasigilli - ho addebitato ai miei ispettori l’incapacità di rilevare queste cose». L’ispettrice Mariella Roberti e poi Schiavon erano stati molto più cauti e avevano escluso l’ipotesi di far partire un procedimento contro Greco, Colombo e la Taddei. Certo, la Roberti aveva rilevato irregolarità fiscali e giuridiche, ma non colpa grave o dolo, necessari per far scattare un procedimento disciplinare. Restava inoltre il dubbio che l’errore fosse stato commesso non dai pm ma dal cancelliere che emise l’ordinativo di pagamento. Castelli ha studiato il caso, poi ha rotto gli indugi: ha mandato il dossier alla Procura generale della Cassazione, a maggio, dopo aver visto la firma di Schiavon sotto un appello promosso da centocinquanta giuristi contro un’iniziativa legislativa della maggioranza, l’ha licenziato. Schiavon tace: «Non voglio che le mie parole vengano intese come polemiche nei confronti del ministro. Credo di essermi sempre comportato correttamente». Più drastico Carlo Fucci, vicepresidente dell’Associazione nazionale magistrati: «Ad ogni inchiesta della Procura di Milano che riguarda il premier corrisponde un’inchiesta disciplinare voluta dal ministro della Giustizia». Sullo stesso registro Nino Condorelli, segretario del Movimento per la giustizia: «Castelli sembra guidato da interessi di parte e manifesta una volontà persecutoria nei confronti della procura di Milano per ciò che quell’ufficio giudiziario ha fatto». Scintille. Il Ministro però non si ferma al Pool e punta il dito anche contro il Csm innescando un’altra querelle: «Mi chiedo se la totalità dei magistrati sia deontologicamente, eticamente e politicamente preparata a manovrare questa immensa leva di potere», dice a proposito della legge 231 del 2001, che recepisce una direttiva europea anticorruzione e che può portare anche al commissariamento di aziende. «Sarebbe un argomento da Csm, ma io credo che, in questo momento, il Csm non sia un organo in grado di controllare i controllori». «Sono esterrefatto - è la replica del presidente dell’Anm Ciro Riviezzo - lanciare accuse così generiche significa delegittimare i singoli magistrati e il Csm».

Secca anche la risposta del vicepresidente del Csm Virginio Rognoni: «Respingo nella maniera più netta l’affermazione di Castelli circa l’inadeguatezza del Csm a gestire l’autogoverno dei magistrati».

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