Non ci hanno creduto nemmeno alla fine dello spoglio. Anche se lo prevedevano i sondaggi, lo confermavano gli scommettitori e lo temevano i cronisti parlamentari, costretti a rimandare le ferie. Così la candidata laburista Margaret Curran ha chiesto il riconteggio dei voti, sperando nell'omonimia con il socialista scozzese Frances Curran. Ma nemmeno la lunga nottata a spulciare le schede ha annacquato il disastroso verdetto, la batosta finale: il divario tra il Labour e lo Scottish National Party dopo la riconta è persino aumentato, 11.277 voti contro 10.912. Tanti ne sono bastati per segnare l'ultimo bagno di sangue ai danni del partito laburista, la terza sconfitta consecutiva in nove settimane, la perdita di una roccaforte nella roccaforte. Perché nelle elezioni suppletive di Glasgow East, che giovedì hanno stabilito chi siederà a Westminster al posto di David Marshall (il deputato del Labour costretto a lasciare il suo seggio per malattia) «tutto quello che poteva andare storto è andato storto». I nazionalisti scozzesi hanno vinto con John Mason (43,08%) e i laburisti in corsa con Margaret Curran (41,69%) hanno perso il 18,99% dei consensi rispetto al voto del 2005 (l'Snp ha guadagnato il 26,06%). Insomma, il seggio blindato della working class, in mano ai laburisti dal 1920, nella Scozia che ha dato i natali e il suo collegio d'elezione al primo ministro e che un tempo non conosceva altro partito all'infuori del Labour, è stato espugnato.
Ma il «calice avvelenato» è stato servito dalla Scozia al numero 10 di Downing Street, a un unico destinatario: Gordon Brown. È sulla politica del primo ministro, sulla sua leadership che si giocava questa partita. Ed è su questa battaglia che il premier ha provato - ancora parole del Guardian - di essere per il partito «una ferita che continua a sanguinare». Per gli elettori inglesi Brown resta il burbero che in poco più di un anno di governo si è dimostrato un pavido, ha rifiutato di andare ad elezioni subito dopo il passaggio di testimone di Blair quando era in testa ai sondaggi, si è esibito in una serie di annunci a effetto per poi fare continue marce indietro.
Nonostante lui ieri continuasse a ripetere che «andrà avanti col suo lavoro», che «è necessario ascoltare le preoccupazioni degli inglesi, ed è esattamente quello che noi stiamo facendo», che la causa del disastroso risultato scozzese è la congiuntura economica («la gente si preoccupa per il costo della vita e ogni volta che va dal benzinaio»), è ormai chiaro che Brown è diventato una zavorra troppo pesante per il Labour, e che quella di Glasgow potrebbe essere stata la sua ultima disfatta, in attesa della resa dei conti al congresso autunnale del partito. Lo dimostra la prima sollevazione interna per bocca dell'ex ministro laburista Graham Stringer, che ha chiesto una «serrata e onesta discussione». «Abbiamo bisogno di un nuovo inizio che può arrivare solo da un dibattito sulla leadership», ha detto interpretando gli umori di una larga fetta del partito.
Così anche il leader dei Conservatori, il rampante David Cameron, che dai continui passi falsi del primo ministro ha guadagnato venti punti percentuali portando ieri il partito al terzo posto nella Scozia un tempo inespugnabile per i Tory, non ha perso l'occasione: «Penso che il premier debba prendersi una vacanza ma che dopo sia necessario andare ad elezioni».
Brown, insomma, è un «dead man walking», che ora dovrà affrontare anche un duro confronti coi sindacati, che ieri hanno detto al partito: appoggiatelo o licenziatelo. E se la diplomazia non è improvvisazione, forse non è un caso che oggi Barack Obama, in visita a Londra, oltre al premier incontrerà anche David Cameron.
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