La catastrofe dei catastrofisti sbugiardati

Egregio Dott. Granzotto, cercando altro nella mia biblioteca, mi sono capitati in mano due libri di circa quarant’anni fa (a suo tempo famosi), frutto dell’attività del «Club di Roma», che avevo letto con attenzione e mi avevano preoccupato: sono I limiti dello sviluppo e Verso un equilibrio globale. Secondo le conclusioni presentate dagli autori, molte risorse naturali, come argento, stagno, zinco, tungsteno e anche il petrolio avrebbero dovuto essere da tempo esaurite o in corso di esaurimento. Nulla di tutto ciò è avvenuto. Mi sono poi ricordato che a quei tempi l’uso dei combustibili fossili e l’ambientalismo catastrofico erano considerati di destra, mentre a sinistra si coltivava la fiducia nel nucleare, nell’industrializzazione e nelle magnifiche sorti e... progressiste. Come mai oggi è tutto il contrario? Io sono nato a Sanremo ottanta anni fa e da bambino mi piaceva andare al porto a guardare il mare e i pescatori che riparavano le reti. Oggi amo tornarci ogni tanto e, a quanto vedo, centimetro più, centimetro meno, il livello del mare è sempre lo stesso. Ma non avremmo dovuto finire tutti sott’acqua per via del global warming? Capirà che oggi mi fido molto meno delle posizioni e delle previsioni degli ambientalisti.
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Anche se al Club di Roma di Aurelio Peccei (un banchiere, non climatologo o meteorologo o geologo) spetta l’onore di aver introdotto nella cultura occidentale il catastrofismo ecologico, non è solo dalla fine degli anni Sessanta che gli ambientalisti sparano bufale una via l’altra. Qualche esempio: nel 1867 un «esperto» mise a punto una seppur rudimentale proiezione matematica concludendone che, a causa del viavai di carrozze e carriaggi, di lì a otto anni Londra sarebbe stata sommersa da una coltre di un metro e venti di sterco di cavallo (per altro molto ambìto dalle signore vittoriane che lo ritenevano, a buon diritto, il miglior fertilizzante per le rose. Per farne incetta, facevano battere le strade più trafficate dalle loro maidservants munite di paletta e secchiello). Nel 1908 il Conservation Movement americano previde «scientificamente» una disponibilità di legna per trent’anni anni e di carbone per cinquanta. Più tardi Paul Erhlich, l’autore del libro di culto (ecologista) The Population Bomb, affermò categoricamente che un quarto del genere umano sarebbe morto per fame nel decennio 1973-1983. Delle bufale del Club di Roma ha detto lei, caro Baralis. Di quelle presenti nel rapporto dell’Onu sui mutamenti climatici, bufale sostenute da vistosi e malandrini ritocchi dei dati climatici, sappiamo tutto. Ciò che uniforma il ciarlatanesimo ambientalista di allora a quello di oggi è l’insistere sull’imminenza della catastrofe. Qualche esempio: la calotta polare che si scioglie in due anni (Al Gore); i ghiacciai dell’Himalaya che fondono in dieci (Rajendra K. Pachauri, capintesta dell’agenzia dell’Onu sui cambiamenti climatici. Ancora in carica); il livello del Mediterraneo che aumenta di cinque metri in tre anni (Pecoraro Scanio); i «diciotto mesi di tempo per fermare il disastro del cambiamento climatico» del principino Carlo d’Inghilterra; la desertificazione della Puglia data per certa entro il 2022 (l’Espresso). Se ne sarebbe potuto ridere (ora possiamo farlo) se con l’autorevole avallo delle Nazioni Unite quelle prospettive «scientifiche» non avessero costituito il fondamento del Protocollo di Kyoto (entusiasticamente promosso da quell’ingenuo di Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea) che, se applicato, con le migliaia di miliardi che pretendeva avrebbe decapitato le economie dei Paesi industrializzati generando di conseguenza una povertà diffusa.

Per nostra fortuna, anche per l’ambientalismo catastrofista e pallonaro vale la vecchia, immutabile regola: puoi far fessi pochi per sempre (in genere i «sinceri democratici») e anche tutti per un certo tempo. Ma non puoi fare fessi tutti (salvo i «sinceri democratici») per sempre.

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