Un dossier di oltre quaranta pagine - frutto dello studio di un gruppo di analisti - e la prima di copertina del corposo incartamento con l’eloquente titolo «Fondazione Berlusconi». Una visita qualche settimana fa dal suo grafico di fiducia Gianni Comolli, per visionare alcune bozze di manifesti elettorali.
E il progetto – già in fase avanzata – di fare una summa del Berlusconi-pensiero e dei provvedimenti presi dal suo ultimo governo per darne conto a breve agli italiani, così come già accadde nel 2001 con quella Storia italiana che finì nelle case di tutti le famiglie del Paese durante la campagna elettorale che il 13 maggio di quell’anno vide scontrarsi Berlusconi e Rutelli.
A mettere insieme i tasselli e raccontarla così ci si potrebbe fare l’idea di un Cavaliere diviso tra Dottor Jekyll (che vorrebbe far saltare il banco e tornare alle urne) e Mister Hyde (pronto invece a sostenere il governo Monti per «il bene del Paese»). Anche se la verità è probabilmente un’altra.
È infatti sincero l’ex presidente del Consiglio quando ripete che «al momento» l’appoggio all’esecutivo non è in discussione perché la crisi non consente altre strade e perché sarebbe da «irresponsabili» far cadere Monti oggi e «senza una valida alternativa».
Il punto - al di là delle dichiarazioni pubbliche - è che però Berlusconi sa bene quanto la sopravvivenza del governo dipenda da mille diversi fattori. Dalla tenuta di un Pdl in grande fermento, certo. Ma anche – come direbbe Walter Veltroni - da quella di un Pd che negli ultimi giorni è in piena fibrillazione. E se a via dell’Umiltà a soffiare sul fuoco sono soprattutto gli ex Alleanza nazionale mentre il segretario Angelino Alfano è da sempre su una linea conciliante, nel Pd il malessere è tanto forte che a farsene portavoce sono Pier Luigi Bersani e Rosy Bindi, rispettivamente segretario e presidente dei Democratici. Insomma, non proprio due peones. D’altra parte la riforma del mercato del lavoro rischia d’essere per il Pd - stretto nella morsa di Italia dei Valori e Cgil - un banco di prova decisivo.
Ed è per questo che Berlusconi ha sul tavolo tutte le opzioni. Al punto di tenere nel cassetto un corposo incartamento su quella che dovrà essere la «Fondazione Berlusconi».
Un’associazione - di cui il Cavaliere dovrebbe essere presidente - che si occuperà in prima battuta di organizzare il fund raising per il partito (che sia il Popolo della Libertà o che cambi nome, visto che l’ex premier continua a ripetere che «l’acronimo Pdl non va» che «magari si potesse tornare a Forza Italia»). Ma non solo.
Perché Berlusconi è convinto che il partito debba essere «gestito da manager veri visto che i politici non sono in grado di amministrare».
Riflessioni private. Il cui succo è questo: «Il partito deve diventare come un’azienda». Anche a livello locale, dove a gestire in prima battuta dovrebbero essere proprio i manager – magari coadiuvati da imprenditori – appoggiati poi da singoli deputati individuati in base al territorio di riferimento e alle capacità (visto che – si sfoga Berlusconi – «c’è anche chi non fa un bel niente»). Una fondazione a largo respiro, però. E con finalità anche filantropiche. Dalla costruzione di ospedali per bambini nel Terzo mondo alla diffusione della cultura. Un progetto a vasto raggio e che – per molti versi – potrebbe cambiare il Pdl per come lo conosciamo oggi. E su cui lavora da mesi l’imprenditore friulano Diego Volpe Pasini.
Un Berlusconi, insomma, che non esclude affatto di tornare in campo a breve. Non come candidato premier, ma come padre nobile del centrodestra. Perché - ripete ai suoi da quando s’è insediato Monti facendo il verso a una trasmissione di Paolo Bonolis - adesso «Avanti un altro!».
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