Guerra Libia

Il Cav mette in riga Sarkozy "Guerra? Addolorato per il raìs"

Il governo contro Sarkozy che vuol fare tutto da solo: "O comanda la Nato o ce ne andiamo". Il premier sul raìs: "Per Gheddafi sono addolorato". Petrolio, economia, immigrati: la grande battaglia Roma-Parigi va molto al di là della Libia. Notte di fuoco su Tripoli e Sirte, arrestati tre giornalisti occidentali a Tobruk. CRONACA IN DIRETTA - FOTO - VIDEO

Il Cav mette in riga Sarkozy 
"Guerra? Addolorato per il raìs"

Sotto il cappello della Nato, dietro l’angolo della Libia,sotto il paravento del­la Lega araba c’è Italia-Francia. Ci siamo noi e ci sono loro. Berlusconi e Sarkozy, i nostri e i loro interessi, le nostre e le loro aziende, la nostra e la loro energia. Nien­te sorrisi di circostanza, adesso. Roma non ne può più: il ministro degli Esteri, Frattini, ha detto che se il comando non passa alla Nato, l’Italia si riprende le sue basi: e allora niente aerei inglesi, francesi, americani sulle nostre piste. Questa non è la guerra di Sarkò. E invece per Parigi non c’è alleanza, non c’è comunità internazionale, non c’è coalizione. Vuole tutto e lo vuole per sé.

L’America si disinteressa, gli altri si defilano, l’Europa non esiste:resta l’Alleanza Atlantica invocata dal nostro governo e da molti altri Paesi. E poi c’è la Francia:cugina permalosa e spesso egoista che pretende adesso di guidare il mondo. Nel mondo ci siamo noi, che con i francesi abbiamo molte partite aperte. Il comando della missione in Libia è l’ultima:Roma bombarda me-taforicamente Parigi, perché non può accettare che i francesi facciano i loro interessi a danno degli altri. Chiedere il passaggio dei poteri alla Nato, come ha fatto Berlusconi, significa delegittimare un governo che gioca in proprio, e metterlo di fronte al bivio: se continua così, l’Italia e altri se ne andranno e la Francia resterà da sola a combattere una guerra di conquista, non di liberazione. Lo scontro s’allarga: è diplomatico, è politico, è strategico.

Riguarda l’operazione militare e poi il futuro, visto che l’interesse petrolifero-energetico- economico è la partita di domani.L’Eni e la francese Total fino a oggi hanno controllato circa un quinto della produzione di greggio. La guerra potrebbe però cambiare radicalmente il panorama, offrendo nuove possibilità e creando nuovi equilibri: l’interventismo francese è più che sospetto. Che cosa vuole Sarkò? La pace, la democrazia o più mani francesi sui pozzi? L’Italia è la concorrenza, anche perché mentre la quota di produzione della Total in questi anni è diminuita, quella di Eni è aumentata. Casualità, ovviamente. Coincidenze e strane combinazioni che disegnano uno scenario da sfida perenne. Perché se lasci la Libia e torni in Europa, rileggi tutto in maniera più suggestiva: l’Italia ha ricevuto in passato una discreta dote di capitali libici. Fiat, Unicredit, Juventus.

Tutto conge-lato, adesso. Tutto scongelabile domani. È un’idea affascinante, perché la Libia rimarrà un Paese ricco ed essere il Paese che ha eliminato Gheddafi con i suoi aerei può mettere la Francia nella condizione di essere il partner privilegiato del nuovo assetto politico-economico libico. Se perde l’influenza in Tunisia, se rischia di doversi ritirare un po’ dagli affari algerini, ovvio che Tripoli diventa un obiettivo. A spese del-l’Italia, sempre. È una sfida latente che non si dichiara, che resta sotto l’ipocrisia del salvataggio dei civili libici. La fretta di Sarkozy è un indizio: i suoi aerei sono partiti prima che finisse il vertice che avrebbe dovuto decidere se e quando la coalizione avrebbe fatto l’intervento.

Il presidente francese aveva deciso, sarebbe partito anche senza gli altri. L’ha fatto approfittando del campo lasciato libero dagli Stati Uniti. L’ha fatto per prendersi un vantaggio su di noi. Questo è il filo conduttore della storia, di questa e di un’altra che si collega. Le operazioni che stanno facendo i francesi in questi mesi vanno tutte in questa direzione: il tentativo di Edf di prendere il controllo di Edison, oppure la conquista di Bulgari, o ancora il grande intreccio Generali-Mediobanca- Groupama che sta scuotendo la finanza italiana e che vede tra i protagonisti Vincent Bolloré, amico personale di Sarkozy. Piccole e grandi cose unite dallo stesso filo. L’invadenza, oppure l’invasione francese, in Italia. D’altronde l’industria e la finanza hanno già raccontato alleanze che poi sono diventate acquisizioni: Bnl risucchiata da Bnp Paribas, Cariparma entrata in Crédit Agricole, Gucci diventata di proprietà di Pinault-Printemps-Redoute.Poi l’affare Alitalia-Air France che per poco non è diventata un’altra fetta di shopping transalpino da noi.

È rimasta una sinergia che per i francesi vale comunque il 25 per cento della compagnia aerea italiana. È una partita complessa, piena di strani intrecci. Perché il mercato è il mercato, solo che negli ultimi mesi l’Italia ha capito che non tutti giocano sullo stesso tavolo: la Francia si muove come un blocco ovunque vada e qualunque cosa faccia. Politica, diplomazia, economia, finanza. Non ci sono più confini: c’è il sistema Paese. Allora Roma è la rivale scomoda. È il centro commerciale dove andare a fare la spesa e l’avversario da fregare con uno sgambetto sulla linea del traguardo. Come per la questione immigrati.

Il Paese europeo più oltranzista nei confronti dell’ipotesi di smistare i profughi che stanno arrivando dal Nordafrica è proprio la Francia. Ha persino delegato un ministro a fare solo questo: evitare che Roma riesca a far passare l’idea che i clandestini debbano essere accolti da tutti i Paesi dell’Unione. L’Europa tace, sulle bombe, sugli affari, sugli sgarbi. La Francia gioca tranquilla.

Gioca per sé e ovviamente contro di noi.

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