Roma - Berlusconi lima il discorso che terrà questa mattina alla Camera, consapevole di incassare la fiducia e di andare avanti. I numeri ci sono. Dovrebbero essere 318 al netto degli ultimi fuoriusciti (Santo Versace e Calogero Mannino) e degli impossibilitati (Alfonso Papa a Poggioreale e Pietro Franzoso in coma). Un discorso presumibilmente breve, asciutto, senza fronzoli, con un riferimento e un ringraziamento al capo dello Stato, con le direttrici dell’azione di governo da qui alla fine della legislatura. In primis le misure economiche con il decreto sviluppo, volto a dare una scossa all’economia; la delega fiscale per abbassare le tasse; la riforma istituzionale con la creazione del Senato delle regioni e il taglio dei parlamentari; la riforma della giustizia. A mettere il sigillo al discorso anche l’apporto di Tremonti, ieri a palazzo Grazioli per dare il suo contributo assieme al leader della Lega Bossi. In forse, invece, il riferimento alla modifica della legge elettorale. Il Cavaliere annuncerà anche il modo in cui il governo intende superare l’impasse del voto sul rendiconto dello Stato, il cui primo articolo è stato bocciato martedì scorso. Presumibilmente il rendiconto, esaminato già oggi in Consiglio dei ministri, verrà ripresentato con una leggera modifica e rivotato. Le strade tecniche sono due, come svela il ministro Frattini: o con un maxi-emendamento che ne modifica la dicitura ma non il contenuto (ed è quella più probabile); oppure attraverso l’approvazione degli altri articoli mancanti, visto che l’articolo 1, cassato, non conteneva cifre.
In ogni caso Berlusconi ostenta ottimismo e, nella nota del Colle, non legge affatto un attacco alla sua persona e al suo governo. Anzi. La sensazione è che Napolitano, con la frase relativa all’«innegabile manifestarsi di acute tensioni in seno al governo e alla coalizione, con le conseguenti incertezze nell’adozione di decisioni dovute o annunciate, suscitano interrogativi e preoccupazioni i cui riflessi istituzionali non possono sfuggire» si sia rivolto anche e soprattutto a Tremonti e non solo al premier. Ecco perché, in un certo senso, Berlusconi cerca e trova una sponda nel Quirinale nel suo desiderio di eliminare l’elemento che fa ostruzionismo all’azione di governo. Ossia il ministro dell’Economia in carica. Non è un mistero infatti che anche dalle parti del Colle le quotazioni di Tremonti siano scese a dismisura. Al di là della mancata presenza alla votazione di un provvedimento del suo ministero, pesano le divergenze sulla nomina del governatore di Bankitalia. Napolitano, così come Berlusconi, a palazzo Koch preferirebbe Fabrizio Saccomanni; mentre Tremonti e Bossi continuano a sponsorizzare Vittorio Grilli. Una diversità di vedute che pesa. Inoltre molti esponenti della maggioranza individuano nell’attuale ministro il «signor no» che impedisce di dar seguito all’auspicio del Colle quando chiede di «garantire adempimenti imprescindibili come l’insieme delle decisioni di bilancio e soluzioni adeguate per i problemi più urgenti del paese, anche in rapporto agli impegni e obblighi europei».
Ma Berlusconi, se vede in Napolitano non un alleato ma quantomeno non un soggetto non ostile, sa che sostituire Tremonti è rischioso. Alle sue orecchie anche ieri sono giunti i suggerimenti di Scajola, tradotti nel «Fai un nuovo governo, sbarazzati di Tremonti, allarga la maggioranza all’Udc e andiamo avanti lisci fino al 2013». Un’ipotesi che avrebbe il suo fascino ma anche molte, forse troppe, incognite. La prima: la Lega ci starebbe? Molto probabilmente no. La seconda: l’accordo con l’Udc è ancora sul condizionale e Casini lega l’appoggio alla sua uscita di scena. Terzo: una crisi adesso sarebbe difficilmente pilotata. E quali garanzie di reincarico avrebbe il Cavaliere? Meglio aspettare. Andare avanti così, confidando nei numeri.
Ma è proprio sui numeri che Berlusconi teme. Domani ci saranno.
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