RomaLultimo bagno di folla per Berlusconi fu una doccia fredda. A Milano il comizio per dare lavvio alla campagna di tesseramento del Pdl iniziò in piazza Duomo e finì al San Raffaele: faccia spaccata dopo che Massimo Tartaglia, elettore piddino imbevuto dastio, gli scaraventò addosso una statuetta in alabastro. Era il 13 dicembre scorso e il clima dodio nei confronti del premier era più o meno quello che si respira anche oggi. Allora Berlusconi, al solito sotto assedio da parte di certa magistratura, certa stampa e sinistra parlamentare ed extra, scaldò i suoi: «Non sono un mostro come dice lopposizione e non credete a chi fa il tifo per la crisi». Fu contestato da un gruppetto di provocatori cui si rivolse gridando nel microfono: «Vedete? Noi non faremmo mai una cosa del genere, non andremmo mai a disturbare una manifestazione degli avversari. Voi volete trasformare lItalia in una piazza urlante che insulta e condanna: vergogna». A fine arringa il regalino dello squilibrato sinistrorso, subito osannato sul web con tanto di pagine a lui dedicate su facebook e giustificato dalle Rosy Bindi, le Sonia Alfano e gli Antonio Di Pietro. Eppure sembrò che, con la visita in ospedale del segretario del Pd Pierluigi Bersani, si potesse aprire una stagione di distensione almeno con una parte dellopposizione. Invece.
Oggi il Pdl torna in piazza: una manifestazione di proposta, sì, ma anche di difesa della libertà, della democrazia e del primato della sovranità popolare. Ancora sfilata, piazza, corteo, nonostante la «brutta aria» e i rischi - che però non trovano conferme - di qualche contestatore pronto a rovinare la festa. Ladunata, si diceva: che piace tanto a Berlusconi perché lui vuole avere il contatto fisico con i suoi tifosi. Da sempre. Come nel 1994, quando appena sceso in campo organizzò il primo mega raduno forzista al grido di «Giù le mani dal governo, viva Berlusconi». I giornali titolarono: «Fratelli dItalia, lItalia sè destra» a sottolineare che per la prima volta la maggioranza silenziosa faceva sentire la propria voce in strada. Era lanno del ribaltone, del governo Dini benedetto da Oscar Luigi Scalfaro, del voto negato.
Poi ci fu il 96, il basso impero ulivista, il governo Prodi, lesecutivo delle imposte, le finanziarie targate Visco. Fu tutto uno sbeffeggiare anche lì: «Berlusconi in corteo? Ma va là, roba da Cgil...». E invece ci andò volentieri in strada, col sorriso sulle labbra: «Sfilerò in doppiopetto», disse, tronfio di stare in mezzo a un tripudio di «Chi non salta comunista è...». E fu riscatto, la nascita della Casa delle libertà, il contratto con gli italiani, il ritorno al governo nel 2001 fino allo scioglimento delle Camere e alle elezioni dellaprile 2006: quelle vinte da Prodi per un pugno di voti, con il Professore che «festeggiava» terreo in volto, in piena notte, bofonchiando «Abbiamo vintooo...». E fu ancora piazza: per dare la spallata a Romano e protestare contro la finanziaria di Padoa-Schioppa. Quel 2 dicembre fu piazza San Giovanni gremita come non mai, fu folla oceanica, fu Berlusconi day dopo il malore di Montecatini, fu «Mai mulà» di Bossi con il fazzoletto verde al collo e «Grande Silvio» di Fini che gli alzava il braccio in segno di vittoria. Non cera Casini, neo ribelle in protesta solitaria a Palermo. Ma quella piazza, oltre a voler mandar via Prodi, disse che il partito unico cera già. Almeno per gli elettori.
Poi fu altro bagno di folla, questa volta a Milano, corso Buenos Aires, a fianco del sindaco Letizia Moratti per chiedere più agenti e più risorse per la sicurezza. Anche lì fu fiaccolata, acclamazione, 15mila anime a incitarlo: «Non mollare, non lasciare mai». Non lasciò, anzi. Raddoppiò il 18 novembre 2007: ancora Milano, questa volta piazza San Babila, ancora un comizio, ancora bolgia impazzita di telecamere, fan e tifosi. Talmente tanta gente che Berlusconi si issò sul predellino della sua auto per il suo colpo di scena: «Oggi nasce ufficialmente un nuovo grande partito.
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