Non solo i futuri possibili della fantascienza ci attirano. Anche il nostro passato remoto, quello di cui meno sappiamo perché ne abbiamo pochi reperti, ha nutrito la cultura popolare e il nostro immaginario. Dunque non si fugge con la fantasia solo nel futuro, si entra anche nelle caverne col salutare brivido di sostituire la busta paga e la fila alle casse del supermercato con una battuta di caccia con lance di selce. Non si torna buoni selvaggi come pretendeva Rousseau, ma un po bambini speranzosi di imbattersi in un tirannosauro dietro langolo.
Così succedeva in un cartone animato giapponese che forse ricorderà chi è intorno ai quaranta, Ryu (creatura di Shotaro Ishinomori). E poi i dinosauri cerano anche nelle storie dei più famosi Flintstones, anche se completamente addomesticati dalluomo, trasformati in forza lavoro o in animali da compagnia. Roba più da adulti sono le strisce umoristiche B.C. di Johnny Hart; lì il mondo «before Christ» sembrava simile al nostro per le tante inquietudini esistenziali, nonostante nel campo delle invenzioni si fosse ancora fermi alla ruota. I primitivi si sono fatti vedere anche al cinema: dagli ominidi di Kubrick alle prese con la scoperta in contemporanea di tecnica e violenza al Cavernicolo impersonato da Ringo Starr nel film parodistico di Carl Gottlieb girato trentanni fa. A casa nostra Pasquale Festa Campanile aveva vestito di pelli Giuliano Gemma, Lino Toffolo e Lando Buzzanca in Quando le donne avevano la coda (1970), impegnati a fronteggiare i misteri del sesso femminile. Altro discorso, con alte pretese, quello di Jean-Jacques Annaud in La guerra del fuoco; perfino i suoni gutturali dei neandertaliani erano firmati da Anthony Burgess, consulente dellopera assieme a Desmond Morris per i gesti. Il soggetto era tratto dal romanzo omonimo di Rosny aîné, dimenticato e ispirato esponente della letteratura fantastica francese dei primi del Novecento. Ben più noto è il lavoro della statunitense Jean Marie Auel. Per scrivere la Saga dei Figli della Terra, ambientata durante lera glaciale, la signora è stata così paleontologicamente corretta da imporsi un allenamento a base di vita in grotta, falò primitivi e lavori in legno e pietra.
Probabilmente non ha partecipato ai corsi di sopravvivenza per emulare la Auel, ma la britannica Margaret Elphinstone ha partorito un credibile e avvincente romanzo preistorico. La notte del raduno (Einaudi, pagg. 447, euro 20, traduzione di Carla Palmieri) getta veramente il lettore nel Mesolitico, 8000 anni fa, quando non si conosceva ancora lagricoltura, si poteva solo cacciare e raccogliere. In un luogo preciso della Terra, la costa occidentale della Scozia, e allinterno di una famiglia che vede compromesso il suo legame con la tribù, dunque la stessa sopravvivenza. I personaggi hanno nomi baschi (la Elphinstone ha voluto usare lunica lingua pre-indoeropea parlata nel continente) e non sono rozzi e sottosviluppati come vorrebbe un pregiudizio illuminista. Conoscono lironia, rispettano i tabù elementari che permettono la vita di comunità, fanno arte, cucendosi i vestiti e adornandoli. Ammazzano animali a più non posso (la lettura è sconsigliata ai vegetariani) ma vivono in profonda comunione con la natura, con gli spiriti delle bestie invocati prima e dopo la caccia, con le fasi lunari e i ritmi delle stagioni. Non sono semplici animisti, raccontano di esser figli delle dee della montagna, sanno che una grande madre più grande della Terra vive in cielo. Credono nella reincarnazione, riconoscono nei nuovi nati i parenti morti e mantengono una casta di sacerdoti, o meglio sciamani che comunicano direttamente con defunti e animale.
I «mediatori» sono le figure più interessanti del romanzo, saggi e alloccorrenza violenti, temibili ma giusti. Il tocco femminile della Elphinstone lo dà proprio la madre di famiglia che diventa il primo mediatore donna, con grande imbarazzo dei colleghi uomini.
Le cavernicole erano già femministe
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