da Milano
Ci sono gli avvocati a sorvegliare le parole, perché la libertà, dopo quattro mesi passati fra il carcere e gli arresti domiciliari, è un vino che può dare alla testa. Cè il medico personale a monitorare davanti ai microfoni la salute del paziente che ha superato un intervento chirurgico. E, a sorpresa, cè anche lei: Valeria Marini, di ritorno dallHonduras. Vittorio Cecchi Gori e Valeria Marini. La naufraga, sullisola dei vip, e il naufrago che cerca di salvare i pezzi del suo impero. «Sono un perseguitato», esordisce lui, in blu dordinanza; «Vittorio sei forte», gli sussurra lei, avvolta in un tubino nero. «Se nessuno farà unindagine completa sui miei persecutori - insiste lui - non ci si renderà mai conto che Cecchi Gori è una vittima e non un imputato». «Tutto passa e si ricomincia, Vittorio», è il messaggio della ex che però è tornata.
Si dovrebbe parlare dei guai finanziari, del fallimento della Finmavi, la cassaforte del gruppo, però le domande scivolano inevitabilmente sulle scintille della coppia che fu ed è di nuovo, sia pure per qualche minuto. «Ho ritirato tutto», spiega Valeria a chi le chiede lumi sulla denuncia per percosse presentata a suo tempo contro Cecchi Gori. «Sono liti damore - assicura lui - in realtà io e Valeria non abbiamo mai litigato. Tra noi cè un grande affetto. Quando Valeria mi veniva a trovare a Regina Coeli, mi diceva sempre: Affronti il carcere come Rambo. Il duetto dura qualche minuto, lei distribuisce ancora una perla di saggezza: «Sono certa che questo momento passerà». Poi, dopo un bacino ad uso dei flash, la Marini saluta. La pace, se non col fisco, almeno con la giunonica soubrette, è fatta.
«È stata una bella sorpresa - si compiace il produttore -: nella vita le sorprese sono troppo spesso brutte, questa volta non è stato così». «Risorgerò - annuncia, supercombattivo, Cecchi Gori - sono stato un ingenuo, ma perché credo in tutto quello che faccio». Certo, debiti, grane giudiziarie, tegole di vario genere ingombrano la vista, ma lui non molla: «Faccio parte di una famiglia perbene, lotterò fino allultimo giorno perché si arrivi alla verità». E la verità con che numeri va scritta? «Il gruppo ha mezzi superiori ai debiti - è la replica -: la library dei film dispone di 700-800 titoli che possono essere utilizzati, non cè nessun fornitore da pagare». Sì, ma i debiti? «Devo 60 milioni a Capitalia, poco meno di sessanta milioni al fisco, 10 milioni ad altre banche, e ancora 60 milioni ai miei avvocati». Quelli sì, ex, non come la Marini. «Non hanno fatto nulla per me. E non immaginavo che sarebbero stati così costosi».
Meglio guardare avanti: «Ho idee eccezionali - aggiunge modestamente - quando mi rassereno mi vengono dei lampi». E poi lo zapping gli conferma la povertà del momento televisivo: «Vedo le fiction di oggi e mi chiedo se cè qualcuno che legge i copioni. Bisognerebbe recuperare certa tv di una volta». Intanto, accarezza il futuro: il remake di Stanno tutti bene. Regia di Giuseppe Tornatore, Robert De Niro protagonista, una produzione Miramax. «Sarà un film fatto in America, la prima operazione del rilancio».
Però, prima bisogna regolare i conti: «La Procura di Roma e la giustizia mi devono aiutare. Non cera bisogno di ricorrere alla cassa integrazione e al licenziamento dei miei dipendenti. Dopo il mio arresto, a giugno, sono stato allontanato e al mio posto sono stati messi i custodi cautelari. Ma il cinema non lo può fare chiunque così come io non posso fare il giudice». Insomma, il produttore vuole tornare al timone: «Le tasse le ho sempre pagate, il fallimento della Safin - la bancarotta per cui sono scattate le manette - è assai discutibile, come quello della Finmavi. Si sono congelati i debiti, passandoli a unaltra società, come per Alitalia. Abbiamo chiesto la revoca di entrambi».
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