Il celebre soprano si racconta: da quell’opera (di Malipiero) in cui diede voce a sette protagoniste a oggi. «Canto ancora, senza guardare al passato»

Enrico Groppali

Incontrare Magda Olivero è più salutare di un'iniezione di eterna giovinezza. Perché la splendida signora che accoglie chiunque bussi alla sua porta con quel sorriso che - prima di conoscerla - pensavamo spettasse di diritto solo a Monna Lisa del Giocondo non è una donna ma un'apparizione. Al punto che, a più di novant'anni, la sua carnagione è più rosea di quella di una bambola, i magnifici occhi azzurri che incantarono Cilea guardano il mondo con lo stupore di un'adolescente, il passo è altero come si addice a una primadonna e, più incredibile che raro, la signora ogni quindici agosto dispensa ancora la sua voce meravigliosa nella piccola chiesa di Solda, in Alto Adige.
Come mai in quel luogo e in quella data, signora Olivero?
«Perché a Solda mi recavo sempre con mio marito, e quella piccola chiesa spersa nel verde, nella sua quiete raccolta, ha per me lo stesso incanto dello spazio mistico dove, in assoluto silenzio, la Vergine Maria evoca l'Altissimo nei “Mondi celesti e infernali”, che ho interpretato tanti anni fa».
Mondi celesti e infernali?
«Sì, la bellissima opera di Malipiero dove, strano ma vero, di una protagonista non si può parlare perché l'autore ne previde ben sette che, guarda caso, affidò tutte a me».
Si può sapere chi fossero?
«Samurami, Medea, Poppea, Maria di Nazareth, Giulietta, Donna Rosaura e infine Lei, ossia la sintesi assoluta della femminilità».
Complimenti. Sarà stata un'impresa ardua, per non dire
impossibile incarnarle tutte in una sola serata.
«E perché mai? Basta solo organizzarsi. Sul palcoscenico, dietro il velario, il regista aveva voluto una casina minuscola, una sorta di castello fatato in miniatura con una sarta che, in un minuto, hoplà mi mutava d'abito, mi fissava una parrucca e mi spingeva brontolando in scena. A quel punto c'era una sola cosa da fare: muoversi, cantare, ringraziare e svanire prima di ricomparire di nuovo con una voce diversa, un'intonazione più scura e un passo più lieve. Il teatro, come la vita, in fondo non è che un gioco».
È con questo spirito che canta ancora a Solda il «Largo» di
Handel e il «Panis angelicus» di Franck?
«Il 15 agosto, accompagnata dall'organo, non sono più Magda Olivero ma una donna che ha tramutato il canto in una preghiera. Guai se non fosse così».
Posso chiederle come passa le sue giornate? In genere, i suoi colleghi danno lezioni di canto e poi rimpiangono amaramente il tempo perduto. Lei invece...
«Io invece non penso al passato, perché non mi annoio mai. Do anch'io lezioni, intendiamoci, e sono ben felice con tutta la mia esperienza di insegnare ai giovani l'Abc del nostro lavoro che è innanzitutto una preparazione muscolare. Anche se prendere i fiati giusti, respirare bene e saper usare il diaframma serve solo a cominciare. Poi...»
Poi?
«Mettere in moto il cervello. La grande sfida è tutta lì».
Come mai ha avuto una carriera così invidiabile e così lunga?
«Forse perché ho vissuto sia per il canto che contro il canto».
Confesso di non capirla...
«Da giovane, dopo i primi contatti col pubblico, mi sposai e abbandonai il teatro. Solo sette anni dopo ripresi a cantare, ma solo per far piacere a Cilea che mi voleva riascoltare in “Adriana Lecouvreur”, il suo capolavoro».
E da allora non ha più smesso. Una carriera facile, costellata di trionfi, una...
«Ma niente affatto! Io, che fin da otto anni strepitavo in casa dalla mattina alla sera con gran dispiacere di quell'integerrimo magistrato che era mio padre, agli inizi fui rovinata da pessimi maestri. Tanto che, quando mi presentai per un'audizione alla commissione esaminatrice dell'Eiar, il maestro Tansini mi bocciò e solo grazie a uno studio indefesso riuscii infine a convincerlo».
Un episodio ricorrente nelle biografie dei grandi della musica. La stessa cosa capitò a Giuseppe Verdi all'esame d'ammissione al Conservatorio di Milano, non è vero?
«Vuol scherzare? Io sono solo un'interprete. Se non avessi avuto la voce, avrei affrontato con gioia la prosa».
Dove non avrebbe avuto difficoltà ad affermarsi. Lei, accanto a Maria Callas, è considerata la più grande attrice dell'opera. Sia sincera, non le manca il palcoscenico?
«Voglio farle una confessione. Mio marito, che mi amava teneramente, era e non era un mio fan. Tanto è vero che, pur assistendo ai miei spettacoli, al termine dell'opera non veniva mai in camerino. “La musica è la tua vita ma sappi che puoi smettere quando vuoi”, mi diceva sempre. Ed io, che avevo compreso il suo spirito, lo assecondavo senza alcun timore. All'uscita degli artisti, la sua macchina mi aspettava sempre col motore acceso. Per lui sono sempre stata Magda, e non la Olivero».
Perché Magda...
«Perché Magda, con tutto l'amore che ho per la cantante che è stata, è molto più importante. Di quante cose non ci si accorge quando ci si sposta ininterrottamente da un Paese all'altro.

Guardi dalla finestra e ti soffermi un attimo solo a guardare Santa Maria delle Grazie: la vede o no la “cupola lombarda” progettata dal Bramante che sfolgora sotto il sole come una pietra preziosa? Il canto è un dono di Dio, ma creare qualcosa che sfida il corso del destino umano è un privilegio cui dobbiamo inchinarci».
Vuol dirci che solo col tempo si cominciano a scorgere i lineamenti dell'infinito?
«Per capire è necessaria una sola cosa: l'ironia».

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