Centouno giorni a Poggioreale. Più un paio di mesi agli arresti domiciliari. Oggi Alfonso Papa, deputato, magistrato e imputato per le vicende della P4, parla di una doppia emergenza: «Le condizioni vergognose delle carceri italiane e l’abuso della custodia cautelare».
Onorevole, anche lei ha scoperto che dietro le sbarre si sta male?
«Certo, molti penseranno che io parli così solo perché i miei colleghi mi hanno spedito in cella. Ma io mi occupavo dei detenuti anche prima, quando ero capo di gabinetto vicario del ministro Castelli. Le condizioni delle carceri italiane sono vergognose».
Com’era la sua cella a Poggioreale?
«Eravamo in cinque in 35 metri quadri. E posso dire che sono stato fortunato. Altri sono ancora più compressi: dieci, dodici nello stesso spazio. E poi nella mia cella c’era il bagno. In altri padiglioni c’è una doccia per camerata, per di più fredda. Questo vuol dire una spruzzata di due minuti la settimana».
Situazioni dolorose, purtroppo note da tempo.
«Io mi limito a dire che la pena in Italia dovrebbe avere una funzione rieducativa. Ma secondo lei si può rieducare una persona in un contesto incivile di degrado e di sporcizia in cui l’unico obiettivo è sopravvivere? E poi attenzione: migliaia e migliaia di carcerati - il 42 per cento del totale - sono nella fase della custodia cautelare. Non hanno sulle spalle una condanna definitiva, ma questo non importa a nessuno».
Una parte dell’opinione pubblica è convinta che il carcere preventivo sia l’anticipazione di una pena che, fra sconti e condoni, non ci sarà.
«Il nostro codice dice che il carcere preventivo dev’essere l’eccezione. Ma troppo spesso non è così. Ho letto sul Giornale la storia di Lele Mora, in carcere dal 20 giugno. Spero che abbiate sbagliato».
Scusi, perché il Giornale dovrebbe aver sbagliato?
«Mora sta male, molto male, e voi avete scritto che i giudici non hanno preso una decisione sul suo futuro perché due giudici su tre erano in vacanza. Mi auguro che non sia così».
Che cosa farà?
«Il giorno in cui sono uscito di casa, finalmente libero, sono tornato a Poggioreale per salutare i miei vecchi compagni di cella. Ora posso annunciare che andrò a Opera e incontrerò Mora. Le assicuro: in carcere ci si ammala e si può morire. Io ho sofferto molto».
Perché si occupa proprio di Mora?
«No, io mi occupo di tutti. Poveri diavoli e persone famose. Non faccio differenza. Ma voglio che tutti abbiano un processo in tempi ragionevoli e che tutti si possano difendere. Il carcere, dove in linea di massima non si è detenuti ma prigionieri, non aiuta il diritto alla difesa».
Scusi l’insistenza, ma lei ha scoperto tutti questi drammi proprio adesso?
«I detenuti sono 68mila. Un disastro».
In tribunale, intanto, il giudice non ha ammesso le intercettazioni che la riguardano. Ha vinto un round?
«Non parlo del mio processo. Dico solo che non fuggo dal processo, ma lo cerco, ne ho bisogno per far emergere la verità. Ci vorrà tempo. Pazienza».
Tornerà a Montecitorio?
«Certo».
Imbarazzato?
«Non ho rancore. E dopo aver letto attentamente le carte so già che voterò contro l’arresto di Cosentino».
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