Censurare il manifesto choc? Serve solo a fargli pubblicità

L’ultimo caso a Milano: guerra al cartellone con una ragazza nuda. E ora tra i creativi scatta la corsa alla foto più trasgressiva possibile

Censurare il manifesto choc? 
Serve solo a fargli pubblicità

La mutanda, se c’è, non si vede; ma è probabile che non ci sia proprio. Sotto il cartellone di piazzale Lagosta, a Milano, il dibattito - mutatis mutandis - è acceso come dopo un derby Milan-Inter. Tutto merito del non notissimo marchio di abbigliamento Silvian Heach che ha affidato la sua immagine a una testimonial bella davanti e bellissima di dietro. La stangona immortalata sul manifesto si offre ai passanti, per così dire, a tutto tondo: il suo lato b è infatti degno dei glutei photoshopati dei mitici slip Roberta (immagine cul-t passata dalle grazie posteriori di Rosa Fumetto, Michelle Hunziker e Natalia Bush, mica squinzie qualsiasi...).
La top(a)-model di Silvian Heach non poteva passare inosservata. I pedoni (maschi) rallentano e ammirano, le pedone (femmine) rallentano e rosicano, gli automobilisti (maschi e femmine) frenano di botto e manca poco che si schiantino. Tra loro, evidentemente, c’è pure l’assessore comunale al Decoro urbano, Maurizio Cadeo, che però, oltre a rallentare o a inchiodare (dipende se è a piedi o in auto), ha deciso di andare oltre. Ha preso così carta e penna e si è lanciato in una intemerata degna, forse, di miglior causa: «Intendiamo essere in prima linea nella battaglia contro gli stereotipi di genere e particolare sulle politiche femminili del nostro Paese, vigilando sopra ogni forma di comunicazione pubblicitaria che intenda svilire l’immagine della donna o ledere la sua dignità». L’azione moralizzatrice è difesa «convintamente» (modello Cetto Laqualunque) dall’assessore Cadeo che ricorda come la sua iniziativa sia «in sintonia con quanto messo in campo dal ministero delle Pari Opportunità anche attraverso la stipula di un protocollo d’intesa tra il ministero stesso e lo Iap, Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria». In conclusione? Se lo Iap non darà parere favorevole, l’amministrazione comunale provvederà alla «revoca dell’autorizzazione»; insomma, il manifesto verrà strappato come se fosse un décollage di Rotella. Una forma di «censura» che, in realtà, sarebbe per la griffe Silvian Heach un regalo grosso quanto una casa. I manifesti «oscurati» di Oliviero Toscani insegnano infatti come l’azione repressiva nei confronti di un’immagine, produca il solo effetto di moltiplicare la notorietà del marchio che i «censori» vorrebbero invece zittire. Un effetto comunicativo che Toscani conosce bene e che non perde occasione di sfruttare a proprio vantaggio.
Il 13 settembre scorso, su segnalazione del ministero per le Pari Opportunità, l’Iap ha bloccato la diffusione di una pubblicità, realizzata da una società di impianti fotovoltaici siciliana, che ritraeva una donna seminuda.

La campagna di comunicazione «Montami a costo zero» è stata ritenuta in contrasto con le norme del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale perché «lesiva della dignità della persona». Risultato della censura? Le vendite dei pannelli «incriminati» sono raddoppiate.

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