Censurato Bachelet: ultima follia della par condicio La tv di Stato sotto accusa per aver sospeso una puntata di «A sua immagine» sul giurista ucciso dalle Br, solo perché era ospite il figlio Giovanni, deputato Pd. È la conseguenza di una legge che r

RITOCCO Nel 2000 regole riviste: niente dibattiti televisivi per i politici a 45 giorni dal voto

Aridatece la buonanima di Jader Jacobelli: tutto potevamo immaginarci fuorché rimpiangere le vecchie tribune politiche, in bianco e nero, grigie e noiose. Erano come le trattorie di una volta, affidabili perché servivano sempre le stesse cose. Menù non vario ma sicuro. Almeno Jacobelli, con gli stessi politici, gli stessi giornalisti, le stesse domande e la stessa espressione stampata in faccia, non era un ipocrita. Per sua fortuna, non aveva la par condicio.
Oggi no. Oggi c’è questa legge liberticida. L’hanno chiamata in latinorum, omaggio all’aulico presidente della Repubblica che la volle fortissimamente, Oscar Luigi Scalfaro, mentre a Palazzo Chigi stava Lamberto Dini (era il 1995). In campagna elettorale medesimi spazi a tutti i partiti, da quello di maggioranza relativa fino alla lista usa-e-getta destinata a scomparire assieme alle urne. Scopo della legge è forse di diffondere informazioni sui candidati e i loro programmi? Certo che no: è di salvare le apparenze. Tot partiti, tot minuti. E così si è fatto credere all’Italia che centellinare le apparizioni dei politici significasse informazione obiettiva. La libertà di espressione ridotta a una faccenda di cronometri, bilancini, burocrazia.
Poi succede che la Commissione di vigilanza sulla Rai porti alle estreme conseguenze le storture di una normativa vecchia di 15 anni e ritoccata nel 2000 (presidente Ciampi, premier D’Alema), eliminando ogni apparizione televisiva di politici nei 45 giorni precedenti il voto fuori dagli spazi canonici. Il nuovo regolamento, presentato da un parlamentare di minoranza (il radicale Marco Beltrandi) e approvato anche da una parte dell’opposizione, ha ricevuto la benedizione del garante per le comunicazioni: «Le trasmissioni che dovevano essere di informazione sono diventate un ibrido, perché hanno mischiato informazione e comunicazione politica - ha detto Corrado Calabrò -. Se fossero obiettive e imparziali non ci sarebbero problemi, ma lo sono tutte? Lo sono sempre? E i conduttori sono sempre imparziali e neutrali?».
Calabrò centra la questione: «Non è imparziale neanche la platea in studio, la claque è ora per l’una o per l’altra parte, e il pubblico a casa si conforma alla claque che fa opinione, così come la fa il conduttore che viene considerato super partes. La realtà è cambiata, è ibrida, ma la legge sulla par condicio non è stata adeguata ai cambiamenti». Così la Vigilanza ha tagliato la testa al toro: in campagna elettorale, niente politici in trasmissioni non riconducibili a comunicazione o informazione politica.
Ma ieri abbiamo assistito allo stracciamento di vesti generale perché la Rai ha cancellato da un programma di informazione religiosa («A sua immagine») un’intervista al figlio di Vittorio Bachelet, Giovanni, deputato del Partito democratico e non candidato alle prossime regionali. Una trasmissione - detto per inciso - condotta fino a due anni fa da un altro attuale parlamentare pd, Andrea Sarubbi. L’intervista andrà in onda dopo le elezioni: doveva commemorare il professore ucciso 30 anni fa dalle Brigate rosse.
Il rinvio del programma ha scatenato il finimondo. «Lo zelo dei burocrati genera mostri», ha detto il numero uno del sindacato dei giornalisti. «Decisione vergognosa» per Rosi Bindi. «Applicazione ottusa», secondo l’Udc Cesa (partito che pure ha approvato le nuove regole). «Sciacallaggio», si scandalizza il radicale Marco Staderini.
Molto bene. Ma bisognerebbe prendersela non con la conseguenza, cioè il regolamento, ma con l’origine, ossia la legge. La par condicio è una forma di democrazia da farisei. Il «principio liberticida», il «torto alla Rai», l’«anestetico alla comunicazione», la «mordacchia legalizzata» che «offende la responsabilità di giornalisti e conduttori» (per usare le espressioni di Aldo Grasso del Corriere) sono tutti contenuti nella legge scalfariana.

Il regolamento della Vigilanza è figlio delle norme varate nel 1995 e aggiustate nel 2000. Protestare con le ultime direttive lasciando da parte quella legge, intoccabile come un totem, significa nascondersi dietro un dito. Dietro un indice, e nemmeno quello d’ascolto.

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