Figuracce e figurine. Non sempre il vento delle notizie soffia alla stessa maniera. E così capita talvolta che comportamenti non proprio ineccepibili di pubblici amministratori finiscano sui giornali solo in punta di piedi. È così per la vicenda che vede il sindaco di Bologna, Flavio Delbono, indagato per peculato e abuso d’ufficio, stessi reati ipotizzati per Cinzia Cracchi, ex fidanzata e segretaria di Delbono quando questi era vicepresidente della Regione. Era stato Alfredo Cazzola, candidato del centrodestra alla poltrona di primo cittadino poi conquistata da Delbono, ad accusare l’attuale sindaco di aver speso allegramente soldi pubblici in viaggi e missioni all’estero compiute con la donna. L’affaire nella città delle due torri è diventato il Cinziagate, ma ha trovato poco spazio al di fuori delle cronache locali. I pm titolari del fascicolo, Massimiliano Serpi e Luigi Persico, dopo aver ottenuto il dossier sui rimborsi spese per i soli viaggi in cui la Cracchi era presente come segretaria, a settembre avevano richiesto l’archiviazione. Ma il gip Giorgio Floridia qualche giorno fa l’ha negata, chiedendo di approfondire le indagini. Ora si scava sulle missioni alle quali la donna ha partecipato pur risultando in ferie, per capire se le sue spese di viaggio e di soggiorno possano, come ipotizzava Cazzola (all’epoca querelato dall’avversario), essere state coperte con fondi della Regione.
Ma mentre i magistrati lavorano, il centrosinistra locale curiosamente si scopre ultragarantista. Il segretario bolognese del Pd, Andrea De Maria, invita a «non enfatizzare», e liquida la vicenda come «coda dei veleni della campagna elettorale». Poi, sempre commentando l’inchiesta, rispolvera una formula che nella sua parte politica viene spesso negata, quando si parla di Berlusconi: «Gli elettori bolognesi si sono già chiaramente espressi eleggendo sindaco Flavio Delbono». Aria di mini-lodo da sindaco?
E a proposito di lodi, e di schizofrenia - o doppiopesismo - del Pd, proprio in Puglia tra un paio di settimane si doveva discutere una modifica alla legge regionale elettorale, per permettere a «un» sindaco che volesse candidarsi alla carica di governatore di poterlo fare senza dimettersi preventivamente dal suo incarico. Manco a dirlo, quella norma - alla quale prometteva battaglia non solo il Pdl ma anche l’attuale governatore, Nichi Vendola - sembrava fatta su misura per quello che fino a Capodanno era il candidato in pectore del Pd per la corsa alle regionali, Michele Emiliano. Tanto da essere stata ribattezzata, appunto, Lodo Emiliano. Il tutto alla luce del sole, con tanto di appelli per far desistere Vendola dall’ostacolare l’approvazione della leggina ad personam, che nello specifico non è stata travolta da titoli che eccedessero in enfasi - per dirla col democratico segretario bolognese - o scandalo, e che per fortuna è stata politicamente bocciata da Arturo Parisi e da Pierluigi Bersani.
D’altra parte quella delle Regionali è una partita delicatissima per il Pd, e la Puglia è una delle regioni nelle quali la scelta del candidato sta diventato più complessa del previsto. L’altra è il Lazio. Avrebbe dovuto correre di nuovo Marrazzo, ma lo scandalo del presunto videoricatto subito mentre era con un trans, e soprattutto le troppe bugie per coprire quella debolezza (oltre al timore che possano esserci profili penalmente rilevanti nei suoi comportamenti) hanno costretto governatore prima a sospendersi e poi a dimettersi, quando il Pd ha avuto certezza di poter comunque arrivare alle elezioni alla scadenza naturale.
MMO