Si sono riservati di decidere con sentenza i giudici della II sezione ter del Tribunale amministrativo del Lazio sulla vicenda della privatizzazione della Centrale del Latte di Roma. Nessuna discussione, dunque, ieri in aula; le parti interessate, infatti, hanno ritenuto che la copiosa documentazione inserita nel fascicolo dibattimentale consentisse di non argomentare ulteriormente su una vicenda giuridico-amministrativa che ha necessitato più gradi di giudizio. In particolare, la società Fattoria Latte Sano, una delle partecipanti alla gara, ha proposto ricorso chiedendo la risoluzione del contratto stipulato con la Cirio per la vendita della Centrale del Latte di Roma e contestualmente lindizione di una nuova gara. Non solo. È stata chiesta anche la condanna dello stesso Comune di Roma al risarcimento del danno subito dalla ricorrente.
La vicenda ha inizio con una delibera con la quale nel luglio 96 il Consiglio comunale capitolino ha stabilito le modalità di presentazione delle offerte, specificando i requisiti della partecipazione alla gara per lacquisizione di una partecipazione della costituenda società Centrale del Latte di Roma. Fra le condizioni previste nello schema di contratto, secondo i ricorrenti, cera anche limpegno a non cedere a terzi le azioni acquistate per un periodo non inferiore a cinque anni. A conclusione della procedura per lindividuazione dellacquirente finale, nel gennaio 98 è stato stipulato il contratto di compravendita della quota di maggioranza in favore della Cirio, la quale subito dopo ha conferito l intera sua divisione latte a una società controllata, la Eurolat, poi ceduta al gruppo Parmalat. È stato in base a questa decisione che la Fattoria Latte Sano, ha deciso di rivolgersi al Tar denunciando lirregolarità delloperazione, diffidando il Campidoglio a procedere alla risoluzione del contratto stipulato con la Cirio e a indire una nuova gara. Il giudice amministrativo in prima battuta ha respinto il ricorso per difetto di giurisdizione, ma lazienda romana non si è arresa e ha impugnato la sentenza davanti al Consiglio di Stato. Il giudice di secondo grado ha dato loro ragione, ma lamministrazione capitolina ha deciso di proseguire la sua battaglia legale davanti alla Cassazione, impugnando la sentenza per difetto di giurisdizione.
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