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Centro sociale o case popolari: ecco il dilemma della legalità

L’annunciato sgombero del centro sociale «Pedro» di Padova - sorto vent’anni fa e da cui prese inizio anche la vicenda politica di Luca Casarini - può aiutare a cogliere quanto gli attori politici di oggi, spesso privi di chiari criteri di giudizio, abbiano difficoltà a confrontarsi con la realtà restando fedeli alla loro ispirazione.
I fatti sono semplici. A Padova è attivo un centro sociale nato nel 1987 a seguito di un’occupazione abusiva, ma recentemente il Comune ha approvato un progetto urbanistico che prevede edifici residenziali proprio in quell’area. Gli antagonisti annunciano mobilitazioni e minacciano una seconda Copenhagen, anche se - seguendo i loro principi - dovrebbero chiedersi se non sia più «sociale» accettare quel complesso di edilizia popolare destinato a 64 famiglie bisognose, sia padovane che immigrate.
Ma anche tra i moderati sembra che vi sia ben poca chiarezza di idee. È comprensibile che chi ha a cuore il diritto di proprietà non nutra simpatia per l’antagonismo sociale, la costante esibizione della forza e i rinvii alla tradizione socialista più estrema. Ma prefigurare lo sgombero in vista della restituzione del bene ai legittimi proprietari, sarebbe una cosa; altro è veder sostituire un collettivismo movimentista (quello del «Pedro») con il collettivismo dell’edilizia popolare finanziata dai contribuenti.
Negli anni ’80 gli antagonisti hanno conquistato quello spazio con un atto tanto illegittimo quanto politico: facendo valere la loro capacità di intimidazione. Ma questa operazione non è diversa da quelle quotidianamente al centro della politica, da un lato, e della competizione tra gruppi di interesse, dall'altro. La sociologia classica (a partire da Max Weber) ha insegnato come lo Stato sia il monopolio della forza legale in un dato territorio, e come tale potere si conquisti e mantenga attraverso l’organizzazione: dei partiti, dei gruppi di pressione, degli stessi «movimenti». Quale che sia l’origine del potere, abbiamo comunque a che fare con un dominio che in un modo o nell’altro dispone della proprietà altrui e distribuisce favori: posti di lavoro, finanziamenti, e anche abitazioni.
Se è opinabile che la sinistra privilegi il tempo libero dei no-global ai problemi abitativi dei futuri assegnatari dell’edilizia pubblica, analogamente dovrebbe essere evidente che c’è ben poco di liberale nella sostituzione di un centro sociale con case di edilizia popolare. Tanto più che il secondo comporta un aumento della spesa pubblica e, quindi, un incremento della tassazione, anche se provoca probabilmente meno problemi di ordine pubblico.

La controversia di Padova mostra come statalisti e liberali abbiano tutti perso la bussola. In particolare, nel campo moderato una visione «angelicata» della legalità e della politica porta spesso ad accettare iniziative che una fedeltà ai propri ideali difficilmente potrebbe giustificare.

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