Senza maggioranza politica, con una politica estera equivoca e il pesante fardello di un decreto da un miliardo di euro che finanzia una missione da potenziare (Isaf in Afghanistan, 310 milioni) e una da ridimensionare (Leonte in Libano, 380 milioni) il governo Prodi ha varato la stagione della maggioranza variabile.
Accettando i voti dell’Udc, l’Unione è passata dagli slogan del «mai una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne», alla sempreverde pratica dei «due forni». Della serie: tengo in caldo i voti dell’estrema sinistra, ma se si raffreddano o vengono a mancare non disdegno (anzi, sollecito) quelli dei moderati eletti nel centrodestra. Con buona pace di tutte le chiacchiere sul bipolarismo.
Il voto di Palazzo Madama ci consegna un esecutivo friabile, un Paese esposto alle critiche degli alleati e nel mirino dei terroristi, un apparato militare e dei servizi di sicurezza delegittimato nella sua azione. Mentre il Senato votava, la Nato discuteva a Bruxelles il dossier delicatissimo dello scambio di prigionieri talebani per la liberazione di Mastrogiacomo e, per l’ennesima volta, chiedeva ai governi riluttanti - il nostro più di tutti - di cancellare i caveat, le limitazioni all’impiego dei militari italiani in Afghanistan, paletti che ieri di fronte al Parlamento il ministro degli Esteri D’Alema ha ribadito di non voler spostare di un millimetro.
Forza Italia, Alleanza nazionale e Lega si sono astenuti come avevano annunciato, mentre l’Udc ha deciso di appoggiare la maggioranza e votare il decreto.
Una scelta discutibile non solo sul merito del provvedimento (inadeguato rispetto al nuovo scenario afghano) ma soprattutto sul piano politico. La scelta di Casini infatti non è più quella della «differenziazione», non siamo di fronte a un voto sull’apertura dei parrucchieri il lunedì, ma a un bivio della politica italiana. Casini ha imboccato una strada diversa e il voto aggiuntivo dell’Udc ha tolto a Prodi l’impaccio di dover spiegare agli italiani (e magari anche al Presidente della Repubblica) che non ha una maggioranza autosufficiente in politica estera, ma contemporaneamente mette i centristi in una posizione imbarazzante. Di fronte agli (ex) alleati e ai propri elettori. E se il vincolo morale della coalizione con il centrodestra negli schemi mentali del leader Udc è saltato, almeno di fronte all’elettorato Casini ora ha un obbligo: salire sul Colle dal Presidente Napolitano e chiedere perché un esecutivo senza maggioranza può ancora governare.
Esaurito questo siparietto, sull’agenda degli italiani resterà impressa una data che ci lascia in eredità l’istantanea ingiallita di un governo in terapia intensiva e un centrodestra da reinventare.
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