Tra il centrosinistra e Israele c’è un muro

Il diessino Nigra: «Non si può condannare ogni atto difensivo dello Stato ebraico»

Tra il centrosinistra e Israele c’è un muro

da Roma

Prima le bandiere con la stella di David bruciate in piazza. Poi Rossana Rossanda, madre nobile del Manifesto, che chiede a Romano Prodi di condannare Israele per il blitz al carcere di Gerico, accusando Israele, che a suo parere «oggi nessun pericolo minaccia», di voler «azzerare i palestinesi come nazione, popolo e Stato». «Condivido - dice Franco Giordano di Rifondazione - e sfido a trovare qualcuno che possa giustificare quanto accaduto a Gerico».
Ieri l’europarlamentare di Rifondazione Luisa Morgantini si è spinta ancora oltre, reclamando che l’Unione europea addirittura «sospenda le relazioni diplomatiche» con Israele. Gira che ti rigira, la questione del rapporto con Israele resta per il centrosinistra un nervo scoperto. Un problema irrisolto, e che ha radici lontane e complesse, come fa capire il segretario della Quercia Piero Fassino quando spiega che «bisogna recuperare una lettura corretta delle ragioni di Israele». Perchè invece a sinistra è diffusa una «lettura distorta della situazione mediorientale», dietro la quale c'è «una errata conoscenza della storia, per cui è necessaria una battaglia culturale prima ancora che politica». Fassino, come ebbe a dire Massimo D’Alema, «è un po’ troppo sionista, si sa», e da molto tempo tenta con la sua prudente vocazione pedagogica di svellere un po’ alla volta i radicati pregiudizi del proprio partito e dell’intero centrosinistra.
Ma è un lavoro lungo e faticoso, che si scontra con umori profondi e diffusi non solo nella sinistra radicale e in molta cultura cattolica, ma espressi anche da importanti dirigenti della sinistra riformista come appunto D’Alema. E non è un caso che proprio sulla candidatura del presidente ds a futuro ministro degli Esteri del centrosinistra si sia innescata una polemica, con molti esponenti della comunità ebraica italiana che mettono il veto al filo-palestinese D’Alema. A quella poltrona, si sa, ambiva anche il «sionista» Fassino (che però, secondo il memento dalemiano, dovrebbe in quel caso rinunciare alla segreteria del partito). E ambirebbe pure - se fosse costretto dai risultati elettorali a lasciare obtorto collo la guida della Margherita per entrare al governo - Francesco Rutelli. Che al ritorno da un viaggio in Israele ha fatto sapere (e molti lo hanno letto come uno stop proprio a D’Alema) che un futuro esecutivo dell’Unione dovrebbe agire in continuità con la «giusta» linea filo-israeliana del governo Berlusconi. Il rutelliano Gianni Vernetti, tessitore della missione israeliana, liquida le varie Rossanda e Morgantini: «È la solita tendenza della sinistra a farsi del male da sola. Ma noi continuiamo a scommettere sul governo Olmert e sul dialogo con Abu Mazen».
Ma l’anima anti-israeliana della sinistra riemerge prontamente ad ogni pretesto, come è successo anche stavolta dopo i fatti di Gerico. Il parlamentare ds Alberto Nigra riprende la citazione di Lenin usata sulla Stampa di ieri dalla Jena di Riccardo Barenghi: «L’antisemitismo è il comunismo degli imbecilli». Hanno ragione Lenin e la Jena, sostiene Nigra: «Troppo spesso le manifestazioni di critica ad Israele sottendono un vero e proprio antisemitismo, per nulla nuovo in buona parte della sinistra, che quando si tratta di Israele ricade sempre nel doppiopesismo». Come dimostrano ad esempio anche le reazioni ai fatti di Gerico: «Lì la situazione era molto semplice - dice Nigra - si trattava di impedire che l’assassino di un ministro israeliano fosse liberato e restasse impunito come spesso è avvenuto.

Ma la lettura che si dà a sinistra è sempre univoca: si concede e si giustifica qualunque cosa rispetto ai palestinesi, mentre si condanna severamente ogni atto anche difensivo del governo israeliano. E quelle bandiere bruciate sono il segno inequivocabile di questo pregiudizio».

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