Cervelli a orologeria

Il mascariatore d'innocenti Peppe D'Avanzo, ieri, ha riproposto la tesi della giustizia a orologeria in edizione rinnovata: ha scritto che la Procura di Roma, «solitamente lesta come un plantigrado», ha deciso di «muoversi con la rapidità di un velociraptor» per indagare Berlusconi e consentirgli di gridare alla giustizia a orologeria, con annesso vantaggio elettorale. Capito? La giustizia a orologeria, cioè, è quella che ha consentito a Berlusconi di gridare alla giustizia a orologeria. Afferrato? In quest'ottica si potrebbe rispondere che una giustizia non a orologeria sarebbe stata comunque a orologeria, perché avrebbe implicato una discrezionalità dell'azione penale: ma non proseguo perché voglio che D'Avanzo sia ricoverato da solo. Non sarebbe male, detto ciò, che i termini temporali entro i quali una Procura possa o non possa muoversi fossero più chiari anche a noi mortali. Prendiamo il più celebre dei provvedimenti a orologeria, ossia l'invito a comparire spedito a Berlusconi alla vigilia della conferenza internazionale sulla criminalità del 22 novembre 1994: il capo del Pool di Milano, al tempo, disse con che la legge non consentiva alcun margine di rinvio.

In interviste più recenti, invece, ha detto che «non ripeterebbe una scelta del genere e aspetterebbe qualche giorno» e comunque «la fine della conferenza dell’Onu». Domanda: ma allora com’è? È sbagliato dire che i magistrati fanno come gli pare?

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