Roma - Onorevole Cesa, la sorprende
la voglia di bipartitismo
che emerge tra gli errori
di centrodestra?
«È un’aspirazione generalizzata
e comprensibile in questo
quadro di confusione generale,
in cui ventidue delegazioni che
salgono al Quirinale. Però c’è anche
una parte consistente di elettori
che non condivide questo desiderio
e secondo me il sondaggio
produce una semplificazione
eccessiva. Il punto è che in
politica non si può continuare a
procedere per aggregazioni
esclusivamente quantitative».
Cosa intende per aggregazioni
quantitative?
«Voglio dire che se guardassimo
onestamente allo scenario
politico dovremmo dire che oggi
ci sono cinque aggregazioni: la
sinistra massimalista, il Partito
Democratico, il centro, la destra
e le forze che hanno una valenza
regionale forte. la fotografia
reale è questa».
L’avvento del Partito democratico
cambia qualcosa nelle prospettive
del centrodestra?
«La somma dei voti di Ds eMargherita
dà circa il 30% ma i sondaggi
assegnano al Partito Democratico
non più del 25%.
Emularlo a destra non mi sembra
una grande idea. Il congresso
dell’Udc, poi, ha indicato a
stragrande maggioranza una direzione
precisa per il nostro partito
che vuole essere alternativo
alla sinistra mantenendo salda
una propria autonomia e tenendo
fede ai propri valori».
Proprio sui valori il centrodestra
ha dimostrato di essere
molto più unito rispetto al centrosinistra.
Perché è così difficile
trovare forme di collaborazione
più strette?
«È vero, il centrodestra è più
unito del centrosinistra. Ma è
anche vero che più che dai valori
questi processi sembrano partire
dall’alto. Il Partito Democratico,
ad esempio, crea il contenitore
e poi cerca di mettere insieme
le questioni programmatiche.
E poi anche nel centrodestra
le differenze non mancano:
sulla riforma elettorale, sulle riforme
istituzionali, sul testamento
biologico. Prima di ogni
aggregazione sarebbe necessario
un chiarimento di fondo, altrimenti
ci si frantuma
il giorno dopo sui temi concreti
della politica».
Un tempo l’Udc sembrava interessato
al partito unitario. Poi
cosa è cambiato?
«Abbiamo perso le elezioni ed è
cambiato il quadro politico e alcune
questioni che erano state
accantonate sono venute alla luce.
Non si può continuare a perseguire
il bipolarismo numerico.
Altrimenti si fa la fine del
centrosinistra e del governo Prodi
che resta immobile e non riesce
a governare. Basti pensare
che a un certo punto, prima del
voto, dentro la Casa delle libertà
discutevamo dell’alleanza
con iRadicali. Con loro probabilmente
avremmo vinto le elezioni.
Ma oggi ci troveremmo nella
stessa situazione del governo
Prodi, dilaniati dalle divisioni interne
».
L’accordo raggiunto a Verona fa storia a sé o può rappresentare un nuovo inizio per il centrodestra?
«Tra province e comuni abbiamo trovato l’accordo in 36 casi su 37. Questo significa che siamo alternativi alla sinistra e facciamo alleanze con chi ci è più vicino e con cui ci riconosciamo maggiormente».
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