Washington. Torna, con lapprovazione della risoluzione n. 1701, la distinzione tra cessazione delle ostilità e cessate il fuoco che da settimane appare al centro della ricerca di una qualche soluzione diplomatica alla crisi che attanaglia Israele e il Libano. Le due formulazioni, apparentemente quasi identiche, implicano in realtà concetti e situazioni di fatto molti diversi. Un appello alla cessazione delle ostilità - come quello contenuto nella risoluzione approvata ieri notte al Consiglio di sicurezza è - notano esperti e diplomatici - un incitamento a che si smetta di sparare e nulla di più. Ben diverso è un cessate il fuoco, che presuppone un accordo tra le parti in conflitto, che si assumono impegni precisi. Ha quindi implicazioni giuridiche molto serie ed è solitamente il primo passo verso un accordo di pace.
Israele - con lappoggio di Washington - in questa fase non ritiene possibile un cessate il fuoco. È favorevole invece a una cessazione delle ostilità, che consente di rispondere immediatamente al fuoco se si viene attaccati. Non si viola pertanto un impegno alla cessazione delle ostilità se non si è i primi a sparare. Nella situazione attuale è fin troppo facile sia per Tsahal sia per Hezbollah (per interposte autorità libanesi) trincerarsi dietro questa considerazione. La cessazione delle ostilità impegna invece a consentire aiuti umanitari.
La scorsa settimana la Ue aveva già fatto in un documento approvato dai ministri degli Esteri la distinzione tra cessate il fuoco «duraturo» - passo giuridicamente impegnativo, rinviato a un indefinito futuro - e cessazione delle ostilità, che esprime solo un dato di fatto e che veniva richiesta nellimmediato.
Nella risoluzione del Consiglio di sicurezza n.
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