Cgil spaccata in due: sindacato rosso nel caos di mozioni e programmi

SBANDO Da entrambe le parti mancano sia il dibattito costruttivo, sia lo spirito d’autocritica

La Cgil terrà a Rimini il 5 maggio 2010 il congresso nazionale. Il disordine che c’è nel più grande sindacato italiano aiuta a capire la crisi in cui è tutta la sinistra.
La Confederazione, dopo anni di assisi tenute su documenti approvati a larghissima maggioranza, si è spaccata su due mozioni, una «I diritti e il lavoro oltre la crisi» appoggiata dal segretario uscente Guglielmo Epifani; l’altra «Per la Cgil che vogliamo» sostenuta, tra gli altri, dalle due categorie (Pubblico impiego e Fiom-metalmeccanici) con più lavoratori attivi.
Nel passato le divisioni erano politiche (le correnti erano la comunista, la socialista e le varie formazioni estremistiche), questa volta ci si divide in modo trasversale: con Epifani c’è la tendenza estremistica «Lavoro e società» di Nicola Nicolosi e vecchi riformisti, oggi in segreteria, come Agostino Megale e Fabrizio Solari.
Con la Fiom e il Pubblico impiego c’è la frazione estremista di Giorgio Cremaschi («Rete 28 aprile») mentre il leader della piattaforma è una storica riformista come Nicoletta Rocchi, ex socialista, già leader dei tranquilli bancari.
La mozione di Epifani è ultrapolitica: chiede riforme delle pensioni (ma non avevano detto che erano intoccabili?), propone complicati interventi sul fisco (non contenti dei pasticci combinati con il governo Prodi quando tanti si trovarono le buste paga colpite da varie tasse), vorrebbe aumentare i salari per via macroeconomica (spostando, forse per legge, il 2% del Pil da rendite e profitti a reddito da lavoro dipendente). Quella «Per la Cgil che vogliamo», dovendo mettere insieme i duri metalmeccanici con i possibilisti del pubblico impiego e i consociativi bancari, sta lontana da contenuti troppo precisi ed è essenzialmente democraticista: tutto deve essere deciso dalla base, e si lanciano in questo senso anche le primarie per eleggere il segretario della Cgil.
La prima mozione, che dice essere maggioritaria perché ha con sé il sindacato dei pensionati e conta sulle nomenclature delle camere del lavoro, ha un profilo formalmente più moderato, è sostanzialmente conservatrice, e si dice pronta a riaprire il dialogo con Cisl e Uil. La seconda, che incorpora il corporativismo egualitarista della Fiom, appare più battagliera, ma per certi versi (per esempio la proposta di un contratto unico per l’industria) viene incontro a richieste della Confindustria. E nel Pubblico impiego ha un atteggiamento unitario verso la Cisl. In ogni caso la seconda è una piattaforma più sindacale e meno politicante.
Il problema comunque è il caos che regna, la mancanza di chiarezza sui programmi, di autocritica sui fallimenti. Che un settore fondamentale del sindacalismo italiano sia così allo sbando è in parte un problema di tutti: si vede - come è successo - quando un segretario di una camera del lavoro si mette a denunciare un segretario del sindacato del commercio Cgil per un caso di straordinari domenicali; si vede con lotte sempre meno organizzate e tutte mediatiche; si coglie quando vecchi sindacalisti estremisti della Fiom bresciana - Maurizio Zipponi, oggi responsabile «lavoro» dell’Italia dei valori, e Dino Greco, oggi direttore di Liberazione - si fanno la guerra su chi è più forcaiolo.


L’Italia è a un passaggio delicato, alcune questioni di fondo possono trovare una soluzione, le associazioni d’impresa dimostrano sensibilità anche sull’occupazione, Cisl, Uil e la grande maggioranza dei lavoratori sono impegnati su obiettivi positivi. Non sarebbe inutile un’opposizione politica e sociale in grado di interloquire non solo più responsabilmente, ma anche più chiaramente.

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