Che barba la fabbrica di calze nella Montevideo dei depressi

Quelli che se ne intendono li chiamano film minimalisti. Per farne parte occorrono tre condizioni: 1) in un’ora mezza, due al massimo, non deve succedere mai niente; 2) le inquadrature indugiano, meglio se a lungo, su particolari insignificanti; 3) gli attori sono preferibilmente sonosciuti, bruttini e antipatici. Forti di questo tricalogo, i giovani uruguayani, laureati in Comunicazione sociale, Juan Pablo Rebella e Pablo Stoll hanno scritto e diretto il loro secondo lungometraggio, Whisky. Puntualmente coperto da una valanga di premi, che tendono a glorificare i film barbosi. E questo, in quanto a noia, dà dei punti a molti. Dunque, a Montevideo lo scorbutico ebreo Jacobo Köller tira faticosamente avanti con due verdi operaie nella sua fabbrichetta di calze, assistito dalla scrupolosa segretaria zitella Marta. Quand’ecco che il fratello Herman, da molti anni trasferito in Brasile, dove commercia anche lui in calze, ma con maggior fortuna, annuncia che arriverà per inaugurare la lapide in memoria della madre. Devo chiederle un favore, mormora Jacobo alla devota assistente: può venire a stare da me qualche giorno, finché dura la visita? E non le spiace fingersi mia moglie? L’ignaro, esuberante ospite gli si installa in casa, bevendosi tranquillamente la pantomima dei falsi coniugi, pronti a nascondere l’imbarazzo dietro lunghi silenzi. E se andassimo in gita al mare? La commedia è a dir poco bislacca, non priva di poesia, e guarda intenerita alle piccole cose di tutti i giorni.

Peccato che una serranda difettosa, una macchina che non parte, un telaio che va su e giù si possono sopportare una volta. Facciamo due, ma alla terza viene voglia di urlare.

WHISKY (Uruguay, 2005) di Juan Pablo Rebella e Pablo Soll con Andrés Pazos, Mirella Pascual. 99 minuti

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