Ci sono manifestazioni che hanno senso ma ce ne sono molte altre organizzate per chiedere l’impossibile. Se l’oggetto principale di rivendicazione di una piazza è chiaramente illogico, antistorico o in generale contrastante con la realtà dei fatti, si tratta purtroppo di uno spreco di tempo, energie e risorse che rischia di diluire al proprio interno, invalidandole, anche istanze legittime pur meritevoli di attenzione. Su queste pagine abbiamo criticato alcune richieste presentate da Cisl e Uil nella loro manifestazione di settimana scorsa ma si trattava di salutare confronto di opinioni, anzi, confermava implicitamente la riuscita della protesta: evidenziare un problema potenzialmente risolvibile perché ne si potesse discutere e lo si mettesse in agenda. Nel caso del corteo Fiom a Roma invece, si ha la sensazione che i manifestanti propongano richieste analoghe a quella di voler ordinare al tempo di fermarsi perché non si vuole invecchiare e morire, ai fiumi di tornare verso la sorgente perché inquinati o ai cinesi di riprendere a coltivare il riso lasciando a loro l’esclusiva delle fabbriche. Si parte sempre dal presupposto che un disagio ci sia e che quindi ogni protesta vada ascoltata con rispetto, specialmente se riguarda argomenti fondamentali come il lavoro e la dignità. Poche cose sono altrettanto distruttive per la vita famigliare come la perdita di un lavoro che si supponeva «sicuro», detto questo occorre essere pragmatici e vedere fin dove si può fare qualcosa e dove invece passa il limite della richiesta della luna. Pur correndo il rischio di semplificare troppo, l’impressione è che la rivendicazione della Fiom sia per un lavoro qui, adesso, garantito, nello stesso luogo, immutabile ed identico al passato per modalità e salario, entrando così nel mondo delle pretese impossibili (e quindi delle manifestazioni inutili). Difficile dire che si protesta perché c’è qualcosa di specifico in Italia che va peggio degli altri Paesi occidentali: il nostro tessuto sociale ha retto molto bene l’impatto con la devastante onda della crisi e della recessione mondiale. I tre nostri principali ammortizzatori sociali (la cassa integrazione, la famiglia e il risparmio) hanno consentito di limitare i danni che, oggettivamente, era impensabile sperare di poter evitare del tutto. Il governo ha fatto la sua parte iniettando grandi cifre nel primo (la Cig) ed evitando azzardi che in caso di attacco ai conti pubblici tipo Grecia o Irlanda avrebbero messo a rischio la stabilità degli altri due, dato che sarebbero stati minacciati i titoli di Stato e le pensioni; il resto del merito va alla capacità di adattamento degli italiani e al genio di molti piccoli e medi imprenditori che hanno saputo ben manovrare in acque turbolente. Il risultato è che abbiamo affrontato una crisi mondiale del debito partendo dalla peggiore posizione possibile (dato che il peso e la dimensione del nostro debito pubblicoerano noti a tutti e ci rendeva una vittima designata) ma ad esserne travolti sono stati a sorpresa altri, come quegli irlandesi o quegli spagnoli che erano presi a modello quando le cose andavano bene. Stante quindi che di danni ce ne sono stati ma è difficilmente contestabile che ci sia andata tutto sommato bene e che, pian piano, le cose si stanno rimettendo in moto (come dimostrano i dati crescenti della produzione industriale), dov’è quindi il punto della protesta? Scioperarono gli addetti alle miniere ormai diventate improduttive, scioperarono i lavoratori delle filande, scioperarono persino i non certo poveri operatori di Borsa quando venne introdotto il mercato telematico. Risultati? Nessuno. Se il mondo cambia bisogna avere il coraggio di abbandonare le proprie certezze e di essere flessibili, perché certi movimenti globali non si possono fermare né governare più di tanto. Anche se le tasse per i lavoratori di alcuni settori venissero per assurdo azzerate (e non si può dato che l’Europa lo impedirebbe), cosa sceglierebbe un imprenditore? Aprire una fabbrica dove gli operai costano quattrocento euro al mese e sono sempre al lavoro oppure aprirla dove costano milletrecento e sono spesso in piazza? Per i dazi è tardi e in ogni caso avrebbero solo rimandato il problema.
Sperare che paghi lo Stato per lavori fuori mercato è ormai utopia. Il lavoro però non manca, basta essere consci che non sarà più quello di prima e dove era prima. Prendere atto della realtà potrebbe portare più risultati di slogan e fischietti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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