Ma che gusto ci può essere ad avere la classifica dei «se»?

di Cristiano Gatti
Arriviamo per ultimi, ma vogliamo sorpassare tutti a sinistra. Gli inglesi e gli spagnoli spezzano tra sabato e domenica, i tedeschi aggiungono il venerdì sera, noi stravinceremo: cominceremo il venerdì e finiremo il lunedì. Quattro giorni di serie A. L'unico rammarico è questo impiccio delle coppe europee, che si prendono martedì, mercoledì e giovedì: altrimenti avremmo preso tutta la settimana. Però ce ne faremo una ragione: tra campionato e sfide internazionali, avremo comunque l'agenda piena. Una partita al giorno, anche due: non siamo più alla modica quantità, questa è roba pesante.
Diverso è trovare un senso. Il nostro calcio somiglia sempre più al comparto dell'acciaio, che non può mai spegnere gli altiforni e spalma la produzione sul ciclo continuo. Gli stessi calciatori, come categoria, diventano più o meno dei turnisti: non appena finiscono Amauri e Pirlo, subentrano Doni e Cassano, quindi Lavezzi e Budan. L'importante è che in azienda ci siano sempre le luci accese.
Che questo sia lo scenario desiderato dalle società (per azioni, non dimentichiamolo mai: è questo lo snodo che ha cambiato la storia), che questo sia il sogno realizzato dei manager è fuori discussione. Ma proviamo a chiederci: è anche quello del pubblico?
Sorvolando sulla dislocazione a catena di sant'Antonio del campionato, si sottovaluta un tremendo effetto collaterale. Questo: se la mia squadra gioca il venerdì sera, devo aspettare fino al lunedì successivo per sapere dove va a mettersi in classifica. Già adesso, quando si gioca di sabato, è una sofferenza aspettare fino alla domenica. In futuro bisognerà passare l'intero week-end, più il primo giorno lavorativo, in questa tortura. La notte del lunedì, stremati dai calcoli e dagli incroci di possibili risultati, finalmente i tifosi potranno sapere se la propria squadra ha raggiunto la prima in classifica oppure no, se la propria squadra ha agganciato la quota-salvezza oppure se si è ulteriormente allontanata. Il sabato, la domenica e il lunedì mattina, su giornali e tv avremo le classifiche dei «se». Un simile stand-by di tre giorni, con gli opinionisti all’opera, rischia di produrre effetti devastanti sul nostro equilibrio mentale.
Poi ovviamente c’è il resto. È vero, tutti possiamo continuare a vedere solo la partita che ci interessa, ma non dobbiamo fare gli ipocriti: sappiamo benissimo come finirà. Le vedremo tutte. Il che, per i nostri impegni di padri, mariti, fidanzati, figli risulterà veramente molto rischioso. Ci abbrutiremo, diventeremo bulimici del pallone. Il lunedì sera non ne potremo più, indigestione di spezzatino, ma il giorno dopo saremo già in crisi di astinenza. E via così, lasciando macerie familiari dietro al nostro cammino, concentrato tra camera e tinello.
Non ce la vengano a raccontare. Comunque la si guardi, non è un'idea geniale.

Non è il modo migliore «per soddisfare le esigenze del pubblico». Abbiano almeno il pudore di usare le parole giuste: si fa per soldi. Solo per soldi. Spiegato così, lo spezzatino trova un senso. Ha un motivo fondato. Oltre tutto, non è neppure così spregevole.

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