Che invidia la fede degli arabi

di Giuseppe Cecere
Plinio il Vecchio, il grande naturalista dell’antichità romana, diceva che, nella sua lunga vita di lettore onnivoro e appassionato, non aveva mai incontrato un libro tanto discutibile da non contenere almeno un’idea degna di interesse. È con questo spirito pliniano che bisogna, a mio avviso, accostarsi all’ultima fatica di Pietrangelo Buttafuoco, superando la naturale sensazione di ripulsa verso l’impostazione corruscamente antioccidentale preannunciata sin dalla presentazione del libro. Un’idea sicuramente degna di grande interesse, in Cabaret Voltaire, è quella che la destra non deve diventare un surrogato della sinistra, rinunciando alla ricerca di un senso spirituale nella vita politica e sociale e ad una visione eroica dell’esistenza.
Ancora più degno di interesse è il richiamo alla necessità di riscoprire il senso del sacro in un Occidente ormai intriso di quella letale ideologia del consumo che Giulio Tremonti definisce «mercatismo». Interessante anche l’idea che l’Islam, lungi dall’identificarsi con una massa fanatizzata o con una ideologia di odio e di intolleranza, possa aiutare l’Occidente a riscoprire il senso del sacro. Peccato che, nella visione politica e religiosa proposta da Buttafuoco, il «pieno» che dovrebbe riempire il vuoto spirituale dell’Occidente sia rappresentato, in primo luogo, dall’ayatollah Khomeini. E che l’autore sembri auspicare una guerra nella quale chi ha vivo il senso del sacro e della tradizione non potrà che trovarsi dall’altra parte della barricata rispetto all’Occidente.
Tesi, questa, sostenuta con una arguta citazione da Drieu de la Rochelle: «Che colpa ne ho io se il nemico ha ragione». La ragione del nemico sembra consistere in una visione che identifica, un po’ semplicisticamente il sacro con una legge tradizionale che viene preferita alle «trappole» della libertà e della democrazia. Il tutto condito da uno scetticismo radicale su temi come i diritti umani e, pare di capire, l’uguaglianza tra uomo e donna. Il libro, insomma, è avvincente come un romanzo ma convincente come una fantasia onirica che più che un sogno ricorda un incubo.


Ma forse non è il caso di perdere il sonno per le profezie di Cabaret Voltaire: forse, come l’autore si preoccupa di rassicurarci nel prologo, non ci sarà comunque nessuna Apocalisse e chiuso il libro, ritroveremo ancora l’Occidente. Magari più disposto a riflettere sul senso profondo dell’essere, ma non disposto a rinunciare ai valori della libertà e della democrazia.

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