Che lusso queste nozze di Ascanio

Alberto Cantù

da Bologna

Saranno felici i melomani, i musicofili e i musicologi, coloro i quali vivono visceralmente la musica (specie l’opera). Tutti felici perché in questi giorni i teatri italiani fanno regali di Natale: meglio approfittare prima che i soldi finiscano. A Genova spunta un melodramma del primo Vivaldi, Orlando Furioso (1709), tutto furori belcantistici da castrato.
A Bologna, al Teatro Comunale, ha debuttato venerdì con successo Ascanio in Alba, frutto mezzo acerbo e mezzo maturo di un Mozart quindicenne comunque prodigioso. Si tratta di una «serenata» o «festa» teatrale, sottogenere encomiastico e fastoso dell’opera vera e propria. Qui - siamo nella Milano del 1771 - la pièce è un momento delle celebrazioni per il matrimonio tra la principessa Maria Beatrice D’Este (nella serenata, Silvia) e l’arciduca Ferdinando (Ascanio: il castrato Manzuoli), terzogenito dell’imperatrice Maria Teresa alias Venere. Prima delle nozze con Ascanio, Silvia deve superare una prova: vincere con la saggezza l’amore per uno sconosciuto che Cupido le mostra in sogno e poi davanti agli occhi. Quando lei dimostra di superare la passione, l’ignoto giovane risulta lo stesso Ascanio con cui vivere felice e contenta.
Debolissimo il testo o meglio il pretesto drammaturgico. Occasione per una collana di recitativi (a Bologna sforbiciati) e di arie, di balli e cori con rari brani d’insieme conditi da magiche apparizioni. Quelle che il regista polacco Michal Znaniecki risolve con elegante ironia ambientando l’opera non in un’Arcadia di maniera ma, quando fu rappresentata, alla corte dell’imperatrice che (Venere) si mostra come una dea tutta d’oro. Pastori e ninfe sono i cortigiani, i balli usano effetti parodistici attorno al tavolo nuziale. C’è un riquadro che cala come un deus ex machina e incornicia lo sconosciuto amante. Sullo sfondo appaiono scene di corte e in scena un fauno garbatamente favolistico si mescola a simboli asburgici.
Bei costumi (Zofia De Ines) giocati fra il turchino «di corte» del primo atto e il verde «pastorale» del secondo e scene eleganti - nero, argento e oro - di Luigi Scoglio. Il coro di Marcel Seminara è eccellente e l’orchestra stabile in stato di grazia per le cure di Ottavio Dantone - dirige e suona il cembalo nei recitativi - che sa imprimere all’opera, già dalla Sinfonia un po’ convenzionale, una vita, una scioltezza, un modo naturale di cogliere la paletta dei sentimenti e una misura davvero sopraffini. Da musicista con la maiuscola che ascolteremmo volentieri in un Idomeneo visto che stile e idee, misura ed eloquio a lui certo non mancano. L’opera spicca decisamente il volo col secondo atto dove le arie, pur ricalcando i tanti vocalizzi dello stile serio, trovano un’ampiezza di sviluppi e i voli della fantasia caratteristici, poi, di Mozart drammaturgo a tutti noto.
Salutiamo con gioia la bella prova di Marianna Pizzolato, solido e accurato Ascanio en travesti.

Plauso anche per Cinzia Forte, Silvia dalle liriche e dolenti dolcezze («Ah, caro sposo»), limpida e duttile e per Desirée Rancatore, Fauno con acuti e sopracuti - ne ha ad oltranza - di cristallina purezza. Più correnti Bernhard Berchtold (Aceste) e stranamente impari alla fama Elisabeth Norberg-Schulz (Venere). Grandi applausi per tutti. Si replica fino al 23.

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