Ma che palla al piede quel catalogo

È vero che le grandi mostre sono ormai diventate anche un grande business, ma restano pur sempre un fatto culturale, rivolto a un pubblico formato non solo da specialisti ma anche da visitatori di cultura media. Perché allora gli strumenti necessari per avvicinare i fruitori all’artista in mostra sono cataloghi super-specialistici, di dimensioni sempre più vicine a un vocabolario (peso sui cinque chili) e di costo elevato? È questa una domanda che si fanno in molti, ma che finora non ha ricevuto alcuna risposta, anche perché non mancano, nonostante tutto, coloro che acquistano questi ingombranti e costosi volumi per esporli sulle librerie come uno status symbol. Resta dubbio però che siano anche in grado di digerirseli tutti, bibliografia e indici compresi.
Qual è allora la soluzione per divulgare la cultura figurativa fra i tanti che frequentano le mostre? Pubblicare, accanto al catalogone per addetti ai lavori, un’edizione «minore», con lo stesso bagaglio figurativo, con un testo divulgativo scritto dagli stessi curatori e a un prezzo accettabile, che non superi i 10-12 euro del biglietto d’ingresso. In altri Paesi d’Europa questo è stato fatto con pieno gradimento del pubblico.

Per fare solo un esempio, alla grande mostra di Parigi su David di parecchi anni fa, era in vendita un catalogo, scritto dallo stesso curatore della rassegna, che in un linguaggio chiaro eppur rigoroso, dava, a un prezzo modesto, un’immagine completa del grande artista francese, per nulla inferiore a quella proposta dall’imponente volume per specialisti. È possibile fare questo anche in Italia? Giriamo la domanda a curatori ed editori a nome di tutti i visitatori di grandi mostre che si sono sfiancati a trascinarsi in giro per la rassegna il mega-catalogo.

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