Ma che sfortuna ci hanno rubato anche il punto G

Male, malissimo. Peggio di così il duemila e dieci non poteva incominciare. Notizie amare giungono dall’isola di Sua Maestà la Regina. Il punto G non esiste, fine di un mito. Gli studiosi del King’s college di Londra svegliano il maschio dal lungo sogno, i test effettuati su un campione di mille e ottocento donne confermano che ci siamo illusi per tutta una vita, un secolo o qualcosa che si avvicina a tale tempo. Negli anni Cinquanta, infatti, era entrata in circolazione la notizia che, così come i maschi, anche le femmine avevano nel corpo un loro luogo erogeno. La scoperta, diciamo così, era da attribuire al professor Ernst Grafenberg, ginecologo; per rendere breve il concetto e non prestarsi a squallidi giochi di parole e di pensiero, si decise di utilizzare l’iniziale del suo cognome, G per l’appunto, il gioco era fatto. Restava, comunque il mistero: come si poteva individuare la lettera dell’alfabeto di cui sopra? Dove? Era comune e localizzabile in tutte le donne? Le stesse donne avevano maggiore praticità nell’esplorazione e nel ritrovamento del G medesimo? Intere generazioni sono cresciute nel dubbio amletico: to G or not to G? Medici, scienziati, psicologi, sessuologi si sono impegnati nello sviluppo della tesi di herr Grafenberg, numerose pubblicazioni hanno dedicato pagine, fotografie, inserti illustrati per spiegare al colto e all’inclita di che cosa si trattasse. Ultimamente erano apparse anche alcune immagini computerizzate, radiografie che cercavano di ribadire l’esistenza del luogo paradisiaco. Ma adesso il divertimento è finito. Tim Spector, un professore con l’onomastica da 007, afferma che «è praticamente impossibile trovare tratti dell’esistenza del cosiddetto punto G e che la stessa idea è soggettiva». La psicologa Andrea Burri, coordinatrice della stessa équipe, spegne la luce sull’argomento, inutile illudere, inutile continuare a spacciare, per vere o verosimili, teorie che non hanno una base scientifica.
Per i maschi di tutto il mondo è come sentire scivolare una palla di neve ghiacciata lungo la schiena nuda. Per giorni, settimane, mesi, anni avevano ricercato, sudando, agitati, con respiro affannoso, la pietra verde, noi Indiana Jones del sesso facile ci ritroviamo di nuovo alla partenza, come nel gioco dell’oca. Non c’eravamo riusciti nemmeno con il navigatore satellitare, anche i tentativi random, casuali come certi incontri, erano andati buca.
Loro, le donne, abituate a sopportare tutto, dal travaglio alle partite in tv, pure loro, le donne dunque, avevano creduto al tedesco Grafenberg che, tra mille studi, aveva «creato» il contraccettivo uterino detto «spirale». Nemmeno un anno fa, sulla rivista New Scientist, il professore Emmanuele Jannini, docente di sessuologia medica all’università dell’Aquila, aveva pubblicato uno studio secondo il quale era stato localizzato il punto del piacere massimo femminile. Deve essere mancata la comunicazione tra l’Abruzzo e la City, infatti il King’s College manda in frantumi lo studio di Jannini e insieme i sogni e le speranze di milioni di coppie. I test del collegio londinese sono stati effettuati su donne la cui età è compresa tra i 23 e gli 83 anni, una forbice molto ampia, anzi la più aperta possibile, e, nello specifico, su gemelle sia omozigote che eterozigote. Totale: come dicono gli inglesi, no news, bad news, nessuna notizia, cattive notizie. I maschi, egoisti ed egocentrici, in fondo se ne infischiano, l’orgasmo altrui è una ipotesi (!) o evenienza non indispensabile, a richiesta trova spesso risposte affermative, con frasi di circostanza ma in assenza di prove testimoniali, certe, documentate.


Ernst Grafenberg ormai è defunto, ha vissuto di rendita, non sa che per sessant’anni abbiamo giocato con la fantasia, cantando e ballando con un punto fisso nella testa. Ieri la musica è finita, i sogni se ne vanno ma non è inutile sperare, tentare non nuoce. Chissà, un giorno potrebbe anche accadere.
Lo chiameremo il G-day, sarà lo sbarco nell’isola del piacere. Auguri a tutti.

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