di Benny Casadei Lucchi
Se metti in vendita un mito devi avere un miliardo di ragioni per farlo. E se alle ragioni saggiunge un miliardo di euro, diciamo che non guasta. Ma dove cè un mito cè passione, cè pazzia, cè sofferenza, gioia, speranza, delusione. La Ducati è tutto questo. Il tifoso Ducati è tutto questo. Il cliente Ducati è più di tutto questo. Perché se il tifoso, per assistere alle gesta di Valentino Rossi ci mette passione e una trasferta e un biglietto del Gran premio o un click sul telecomando, il cliente ci mette migliaia di euro e la cosa, ammettiamolo, conta di più. Per cui si dovrà fare molta attenzione a chi scegliere come compratore, da chi farsi affiancare o quantaltro. Perché la Ducati è il mito, è la Rossa a due ruote, è la Ferrari di chi piega e impenna, e come il Cavallino rampante è lunico oggetto motorizzato che non si limita a transitare per una strada e una via. La Ducati sfila. La Ducati si fa precedere e annunciare in musica, perché di musica si tratta, con il rombo unico del suo bicilindrico desmodromico che sta alle moto come il dodici cilindri maranelliano alle auto. Inconfondibile, unico, solo suo, solo loro.
Andrea Bonomi parla di vendita e dice che «la Ducati è una società perfetta» che ha bisogno di crescere ancora. Così facendo prepara i tifosi, i clienti, gli appassionati e tutto questimmenso popolo di rosso vestito a farsene una ragione. Un popolo abituato a farsi molte ragioni, a gioire e ingoiare rospi. Ci sono meravigliosi anziani ducatisti in sella a meravigliose anziane rosse, che hanno visto la Ducati, dal 48 fino all84, passare dallEfim alla Finmeccanica allIri, partecipazioni statali insomma. Una Ducati talvolta tristemente più impegnata nei motori diesel per trattori che nelle moto. Eppure non hanno mai perso fede nel mito. Un popolo appassionato che di ragioni se ne è fatte anche durante e dopo la resurrezione di fine anni 80, quella firmata Castiglioni, Cagiva, lindimenticato Claudio scomparso pochi mesi fa. Una resurrezione fatta di modelli indovinati, della Monster e delle prime 851, delle 916. Il ducatista non fece in tempo ad abituarsi alla profonda italianità di quelle sculture su due ruote e delle vittorie in superbike, e di Ayrton Senna che si presentava ai Galà monegaschi in sella a una Ducati, che arrivò il tempo di un fondo texano. Ma litalianità rimase negli uomini al vertice della Casa, nelle scelte, nelle idee. Poi, nel 2006, la svolta di Bonomi e altri massicci investimenti in ricerca e sviluppo e modelli irraggiungibili per gli altri marchi e il mondiale MotoGp di Stoner del 2007 e poi, e su tutto, il sogno cercato per amalgamare e compattare e fondere tifosi e clienti: la nazionale delle moto, la Rossa Ducati e Rossi Valentino.
Già, farsi delle ragioni. Anche adesso i tifosi e i clienti e gli appassionati si stanno facendo delle ragioni. Perché il sogno sportivo non è decollato, perché la nazionale dei motori ha fallito. Perché nel 2011 il campionato MotoGp è stato una delusione e la vittoria in quello Superbike non è di pari peso, non può esserlo.
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