Chi vuole far satira rilegga il Candido

Proprio quarant’anni fa - il 22 luglio 1968 - moriva a Cervia Giovannino Guareschi: aveva solo sessant’anni ma il cuore era malato da tempo, troppe sigarette e troppe notti di lavoro, ma soprattutto troppi dispiaceri. All’Italia aveva dato tantissimo, ricevendo in cambio ingratitudine e galera. Andò al camposanto del suo paese, Roncole Verdi, avvolto nella bandiera monarchica come la vecchia maestra di Peppone, ma ci andò quasi da solo: «L’Italia ufficiale lo ha ignorato. Molti dei nostri attuali governanti devono pur qualcosa a Guareschi e alla sua strenua battaglia del 1948 se oggi siedono ancora su poltrone ministeriali, ma nessuno di essi si è mosso. (...) Ormai Giovannino riposa al cimitero dei galantuomini. È un luogo poco affollato. L’abbiamo capito ieri, mentre ci contavamo tra di noi vecchi amici degli anni di gioventù e qualche giornalista, sulle dita delle due mani»: così scrisse Baldassarre Molossi sulla Gazzetta di Parma il giorno dopo i funerali.
Ma se oggi parliamo di Guareschi non è solo per il rispetto di una ricorrenza. Ce lo impone, più che l’anniversario, la cronaca. È di questi giorni il dibattito sul diritto di satira provocato dal «No Cav» di piazza Navona. Inutile ricordare in quale modo, e con quali parole, s’è manifestato il legittimo dissenso nei confronti del governo: basti dire che l’argomentazione più forte - ed evidentemente più convincente, per quegli oppositori - è stata un pettegolezzo sulla fellatio. Tanta volgarità e tanto odio sono stati giustificati appunto con il diritto alla satira, sempre invocato quando si vuol trovare un altro nome all’insulto e alla calunnia.
Certi tribuni di piazza Navona farebbero bene a sfogliare le collezioni del Candido di Guareschi per vedere che cosa è, davvero, la satira. Non è che le battaglie di Giovannino fossero meno virulente, anzi: ma le armi usate erano quelle del genio e dell’umorismo, non del livore e del trivio. L’anticomunismo di Guareschi prese forma nei manifesti «In cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no», nelle vignette «Obbedienza cieca, pronta, assoluta» con i trinariciuti che eseguivano il contrordine-compagni; in rubriche come «Visto da destra e visto da sinistra», «Giro d’Italia», «Le osservazioni di uno qualunque», «Il dolce stil novo», «Il Bel paese» e naturalmente «Mondo piccolo». In questo era diverso Guareschi dai satirici di oggi.

Nello stile, e nel non essere fazioso: Giovannino non aveva l’ossessione di un solo nemico. Sapeva colpire a destra e a sinistra, da uomo libero. Ma forse già il tentare di paragonare Guareschi a certi figuri è una bestemmia.

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