«Chiedono aiuto all’Italia per sbloccare la crisi»

«Ankara vorrebbe che intervenissimo sui partner europei per ammorbidirli»

Dal nostro inviato ad Ankara

Da quando si è saputa la notizia del no, parziale, della Commissione europea, il suo telefono non smette di squillare. Chiamano i giornalisti, i politici, i ministri turchi. Vedono nel nostro ambasciatore Carlo Marsili, oltre che un interlocutore competente, il rappresentante di un Paese che, con Berlusconi prima e Prodi adesso, ha sostenuto la candidatura di Ankara all'Unione Europea.
Ambasciatore Marsili qual è l’umore della Turchia?
«Molto negativo. Il Paese l’ha presa male. In particolare è rimasto colpito dal fatto che nessuno dei capitoli negoziali potrà essere chiuso, se non verrà prima accettato il protocollo di unione doganale. Non avevano preventivato una decisione che giudicano tanto dura».
E dall’Italia cosa si aspettano?
«Il sottosegretario agli Esteri Apakan mi ha chiamato da Riga, dove si trova per il vertice della Nato, per chiedere che il nostro Paese faccia tutto il possibile per convincere i partner europei a prendere una posizione meno drastica».
Insomma chiedono il nostro aiuto. Ma c'è ancora spazio per una correzione?
«Direi di sì. È quel che dico agli interlocutori turchi. La Commissione Europea ha raccomandato al vertice dei capi di Stato e di governo la sospensione parziale dei negoziati, ma non è detto che questa richiesta venga accolta. Quella di Bruxelles è stata una decisione tecnica, ora ce ne vuole una politica, perché potrebbe essere meno contundente per la Turchia».
E se invece il summit europeo di metà dicembre confermasse la linea dura che cosa accadrebbe?
«Corriamo il rischio che l'opinione pubblica si irrigidisca e che la reazione vada oltre i limiti. Finora c'è stata una forte spinta a favore della Ue sia da parte del governo che della gente, ma l'entusiasmo si è già molto raffreddato. E in un anno elettorale potrebbe svanire del tutto. Se questo accadesse avremmo perso una grande occasione».
Eppure fino a ieri mattina il clima nel Paese grazie al Papa era molto diverso...
«Sì ed è davvero un peccato. Il Pontefice, che era stato accolto con laica indifferenza dalla maggior parte del Paese e con ostilità solo da frange marginali, era riuscito a dare alla sua missione una valenza positiva».
Vuole dire che la Turchia ora prova simpatia per Benedetto XVI?
«Sì, proprio perché la visita era nata in un clima molto contrastato. In una giornata ha capovolto i giudizi nei suoi confronti».
Ma a questo punto che ne sarà del sì del papa alla Turchia nella Ue, annunciato con qualche forzatura da Erdogan?
«Resta un annuncio molto importante, che comunque non sarà dimenticato. La posizione del Vaticano non influenzerà certo il negoziato tecnico tra Ankara e Bruxelles ma potrebbe avere significative ripercussioni sul lungo periodo».
La Turchia ne beneficerà?
«In teoria sì perché fino ad oggi le maggiori resistenze all'adesione della Turchia provenivano da forze di orientamento cristiano. Molti dicevano: anche il Papa è contrario, ora invece saranno indotti a valutare con maggior cautela la questione».
Migliorerà anche la situazione dei cristiani in Turchia?
«Lentamente, ma direi di sì. In Turchia c'è libertà religiosa, la Costituzione voluta da Ataturk vieta tuttavia la propaganda religiosa.

Ma la norma non ha contenuti anticristiani, bensì mira a contenere l'influenza dell'Islam più radicale. E per questo c'è reticenza ad accelerare le riforme. In genere direi che grazie al Papa miglioreranno i rapporti religiosi a livello locale».

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