Chiusi e «bocciati» in inglese I musei tagliati fuori dall’Expo

Miss Smith proprio non lo capirà: se lo sarà anche chiesto che cosa significasse quel rospo rovesciato ai piedi della Madonna in un bel dipinto made in Italy firmato Bramantino. Ma senza didascalie, né brochure, né audioguide a volte anche il Rinascimento italiano può risultare ostico, nonostante la sua pittura parli direttamente la lingua del cuore. Così Miss Smith tornerà in terra d’Albione e si dimenticherà presto perfino in quale museo abbia visto quella inconsueta raffigurazione del demonio sconfitto a mo’ di ranocchio detronizzato. Pinacoteca, yes, ma quale? Brera o piuttosto Ambrosiana? Pari sono nell’ignoranza dell’inglese. Così, fingendosi turisti a casa propria si scopre che molti dei musei di Milano, sedicente metropoli europea dalle sorti magnifiche e progressive, non parlano ancora nemmeno la lingua dell’Expo e, a confronto dei loro cugini italiani, europei o d’oltreoceano sfigurano. E non per i capolavori contenuti: ne basterebbe infatti poco più di un pugno per fare la fortuna di qualunque exhibition o austellung del mondo. Basterebbe valorizzarli come meritano, e renderli comprensibili ai più. Noio vulevon savuar, ma ahimé non è facile istruirsi. La prima insufficienza per i musei milanesi arriva in lingue straniere: didascalie, brochure, audioguide sono, le prime, ancora scarsamente tradotte, almeno in inglese, e poco disponibili o a pagamento le seconde. Eppure si poterebbe pensare agli studenti, universitari o del liceo, la traduzione e la realizzazione di pannelli esplicativi: in cambio di qualche credito formativo, accetterebbero di buon grado. Altra pecca: gli orari di apertura. Gli stranieri hanno imparato presto questa antica sinfonia italiana: monday closed. Ok, passi la vacanza settimanale: succede anche al Prado e al Louvre. Quel che succede solo a Milano è, invece, che alcuni musei, come quello della Scala, chiudano per la pausa pranzo, orario tipico in cui il turista non super mattiniero, riesce a raccoglie le forze e ad arrivare solitamente all’ingresso del museo. Sbattendo il naso sull’uscio serrato. La chiusura poi è quasi per tutti non oltre le 17.30-18, con l’eccezione di Brera e del Cenacolo, che chiudono comunque un’ora più tardi e del Museo Diocesano che per tutta risposta, d’estate, apre solo di sera e chiude però di giorno e anche la domenica. Mai un’apertura serale: a confronto, paragonando lo stile di vita, hanno orari ben più mediterranei il Moma di New York e ancora una volta i musei inglesi o tedeschi che chiudono alla stessa ora di quelli italiani, quando però per la loro cultura è già tempo di cena. Terzo problema: gli sconti e le riduzioni che tanto invogliano a simpatizzare con arte e cultura. Fino a 18 anni è possibile spuntare l’«affare», a volte anche fino a 25 anni ma solo per chi studi arte o letteratura e affini come a dire che cervelli dediti solo all’ingegneria o al calcolo matematico non meritino di avere una spintarella per avvicinarsi pur tardivamente alle belle arti? Non solo: nel resto del mondo, con un prudente investimento di 10 euro circa, ogni bravo studente si conquista una carta, la Isic card, che da diritto ad entrare gratis o con forti riduzioni nei luoghi d’arte che dovrebbero ingentilire l’animo. Da noi però questo passepartout è uno sconosciuto, un inutile pezzo di plastica che fa strabuzzare gli occhi ai cassieri: What is this? Che cos’è?
Indubbiamente, fare uno sconto ad uno studente equivale spesso a dare una caramella ad un asino, come recita un vecchio adagio di campagna, ma stroncare a priori la sensibilità artistica di un giovane non è corretto. Forse non saremo mai bravi (e ricchi) come a Londra dove National Gallery e British Museum sono addirittura gratis per tutti, perché i marmi del Partenone, la stele di Rosetta o la Vergine delle rocce, oltre che non essere esattamente capolavori britannici, devono in fondo essere di tutti, ma i musei milanesi faticano a digerire altre forme di sconti o di biglietto integrato che invece altre più piccole città hanno realizzato per valorizzare i loro tesori.
Infine davvero poco europea è anche la mancanza di una caffetteria all’interno dei musei: in preda ad un calo glicemico da indigestione d’arte, il visitatore è costretto a uscire a caccia di un bar, tranne a Brera, dove si deve però abbandonare il percorso espositivo e scendere al caffè dell’Accademia.

In compenso, però il prezzo medio dei biglietti è di qualche euro inferiore di quello europeo: 5 euro per i musei civici e 8 per quelli privati. Ma c’è da scommettere che di fronte ad un prodotto migliore si sborserebbe volentieri qualche spicciolo in più.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica