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«Ci attaccano qui è l’inferno»

«Arriviamo a fari spenti, ma c’è la luna piena. Ci appostiamo dietro una casa in attesa dell’ok per iniziare l’operazione. La luce verde giunge all’una e i bersaglieri si posizionano dietro ai loro mezzi per coprirci le spalle», scrive nel suo diario, il 9 aprile 2004, il maresciallo capo Renato Bruschi, del 10° reggimento genio guastatori. Sono i giorni convulsi della Nei, giorni convulsi della prima battaglia di Nassirya, la prima di tre, tutte definite le «battaglie dei ponti» perché l’obiettivo si sono combattute per la conquista dei ponti sull’Eufrate, strategici per il controllo della città e per stabilire l’ordine. La missione è minare uno dei ponti sull’Eufrate per evitare che le milizie armate degli estremisti sciiti avanzino nella parte sud della città. Una missione pericolosa per Bruschi ed i suoi compagni: «Proseguo deciso verso la passerella, impugnando la Minimi (mitragliatrice pesante, ndr). Il mio compito è di avanzare fino al centro della passerella e coprire i compagni mentre portano le cariche». Sotto il bagliore della luna il sottufficiale dei guastatori quasi si rilassa: «Penso che ci è andata bene, non ci hanno visto, ma poi, all’improvviso, delle urla sia alzano dall'altra sponda del fiume e scoppia l’inferno. Siamo bersagli facili. Faccio il possibile per rispondere al fuoco e coprire i miei compagni, che con grande coraggio posizionano le cariche e ripiegano verso la riva.

Adesso tocca a me, mi alzo in piedi e comincio a correre verso la sponda amica, ma ormai sono l’unico bersaglio visibile sul ponte. I proiettili cominciano a colpire la passerella davanti e dietro ai miei piedi e li sento fischiare sopra la testa. Ok, la decisione è rapida: ultima raffica di Minimi e poi mi butto in acqua».

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