«Ci coprono d’insulti, così non si può lavorare»

Un giornalista si sfoga: «Non stiamo tutti con Mieli ma è come in guerra. Stiamo facendo la conta delle perdite per una manovra sbagliata»

da Milano

Nel fortino assediato tira aria grama. Aveva ragione la signora Paola Mazzoleni da Roma, lettrice, o meglio ex lettrice del Corriere della Sera che ieri ci aveva premurosamente avvisato: «Glielo dico io che cosa è successo, gli sono saltati i nervi. I centralinisti rispondono male. Mettono in attesa per delle mezz’ore, non ci passano la segreteria di redazione, non ci passano i giornalisti. Perché siamo in troppi e vogliamo tutti la stessa cosa: cantargliele chiare e disdire i nostri abbonamenti».
Già, tira aria grama. Anzi, i vecchi amici sibilano «che non è proprio aria» e i nuovi amici fanno finta di non vederti. «Se vuoi chiacchierare in libertà andiamocene fuori, al bar», ci dice un redattore delle Cronache. E una volta al bar, davanti a un caffè che più amaro non si può, alza la bandiera bianca della sincerità: «Che cosa vuoi che ti dica. È vero, tutto vero, ci stanno subissando di telefonate, insulti, e-mail. Da quarantott’ore è un continuo. Non si riesce a lavorare in queste condizioni...». Mi vuoi dire che il direttore ha sbagliato? Che ha fatto un clamoroso autogol e nemmeno al novantesimo? Allarga le braccia l’amico di sempre, ma non gli esce né un sì né un no. E probabilmente non gli uscirebbe nemmeno sotto tortura.
Fortuna che il lunghissimo momento di silenzio viene interrotto da un cenno di saluto che ci giunge dal marciapiede opposto. Altro collega, o meglio più che collega amico e compagno di tante avventure rigorosamente professionali. Giochiamo d’anticipo: è vero che Mieli ha imposto la consegna del silenzio ai giornalisti? «Ma che ti stai a inventare? Stai tranquillo, qui da noi chi ha voglia di parlare continua a parlare e può parlare come e più di prima. Solo che forse in questo momento, visto come stanno andando le cose, non ne abbiamo molta voglia. Ma cosa credi? Che tutti in via Solferino siano d’accordo con quell’editoriale che abbraccia il centrosinistra? Mica sarai convinto anche tu che siamo davvero un soviet come ha detto qualcuno che tu conosci bene..».
Transit, come si dice. E a questo proposito un’occhiata a quel paio di edicole, che incontriamo nella nostra passeggiatina collettiva attorno all’isolato, ci suggerisce la nuova domanda: non vi allarma quella montagnetta di copie ancora invedute a quest’ora del giorno? Allora ha davvero ragione non solo la signora Paola Mazzoleni che ci ha telefonato da Roma, ma anche quell’altro amico, tra l’altro valentissimo collega, oggi in pensione, che ci segnalava da Bresso e dintorni, la scelta di campo e di protesta alle edicole di un popolo moderato che si è sentito tradito e così ha pronunciato la sua dichiarazione d’intenti: da oggi no al Corriere, sì al Giornale?
«Vero verissimo. Lo vedi anche tu, e come potremmo negare l’evidenza? Stiamo facendo la conta delle perdite. Un po’ come in guerra. E in guerra ci sta anche che si commettano errori che poi si pagano cari. Probabilmente da qui al 9 aprile, anzi all’11 di aprile, perderemo un sacco di copie. Abbiamo perso la faccia coi lettori più moderati. Capita.

Capita di far brutte figure. Un po’ come nella vita di tutti i giorni. Io al tuo posto non mi scandalizzerei. Non andar giù pesante quando scriverai di noi. Sono cose che capitano nei giornali, lo sai bene anche tu...».

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