Ricostruire i mille e più «no» detti da Bruno Ferrante al Comune di Milano significa sfogliare un faldone alto più di dieci centimetri. Vicende che coinvolgono la città del fare ma anche quella Milano della solidarietà e della legalità che, a parole, lex prefetto fa sapere di sostenere.
Storie che lhanno visto sempre dallaltra parte, come nel caso dei tramvieri: la fermata selvaggia degli ottomilacinquecento dipendenti Atm che, nel dicembre 2003, misero Milano in ginocchio. «Cinque giorni di impunità che videro Ferrante impegnato a mediare, a muoversi diplomaticamente per evitare di prendere decisioni drastiche, anche nei confronti di chi, tra laltro, si fece pure beffa delle istituzioni» ricordano oggi da Forza Italia. E nel mirino dellallora prefetto cera sempre lamministrazione comunale, che venne perfino sbeffeggiata quando Palazzo Marino decise di aumentare il numero delle licenze taxi e che si trovò accusata di «insensibilità» quando chiese lo sgombero di favelas ai margini della città. «Ricordo - confida Guido Manca - quantera sprezzante Ferrante davanti alla legittima speranza dei milanesi di poter tornare a vivere senza più lincubo di rom. Tavoli di mediazione impossibile per non risolvere mai nessuna occupazione illegale. Via Adda? Ci volle la rabbia di un quartiere, la forza della disperazione dei cittadini e quasi un anno di suppliche prima di vedere liberato un pezzo di città». E il protocollo degli uffici comunali «sono lì a provarlo» aggiunge lassessore alla Sicurezza.
Testimonianza anche della posizione ambigua di Ferrante rispetto gli sgomberi dei centri sociali. Esempio, il caso Metropolix.
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