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Cia-Gate: in carcere la giornalista che si rifiuta di rivelare le sue fonti

Judith Miller ha invocato il diritto alla segretezza sancito dalla Costituzione

da Washington

Il giornalista della rivista Time, Matthew Cooper, non andrà in carcere, avendo deciso all’ultimo momento di rivelare le sue fonti alla Corte. Il clamoroso colpo di scena è avvenuto nell’udienza decisiva sul caso che si è appena concluso. Al contrario di Cooper, Judith Miller si è rifiutata di obbedire all’ordine del tribunale, invocando fino all’ultimo il diritto sancito dalla Costituzione alla segretezza delle fonti. Rivolgendosi alla reporter del Time in aula, il giudice Thomas Hogan ha sottolineato allora che «il carcere nel suo caso è una punizione appropriata».
Cooper si era rifiutato di parlare fino a ieri. Nell’ultima udienza prima del provvedimento esecutivo del giudice si è finalmente detto pronto a testimoniare. «Ieri sera ho abbracciato mio figlio e gli ho detto che non ci saremmo visti per un pezzo», ha raccontato. Poi, quando era pronto ad accettare la sentenza, ha ricevuto una inattesa comunicazione dalla stessa fonte, che lo liberava dal vincolo di rispettare la segretezza.
Cooper e Miller per due anni non hanno voluto dire ai procuratori il nome o i nomi delle persone che rivelarono loro la vera attività di Valerie Plame, agente della Cia sotto copertura. Il nome di Plame è finito per la prima volta sui giornali nel 2003, in un articolo firmato da Robert Novak, che citava tra le sue fonti due membri dell’amministrazione del presidente George W. Bush. Un seguito all’articolo di Novak fu poi scritto da Cooper sul Time. Miller non ha mai scritto nulla su Plame, ma ha collaborato alla raccolta del materiale sulla vicenda per il New York Times. In una breve conferenza stampa di fronte al tribunale Cooper ha esordito scrollando la testa: «Oggi è un giorno triste per il nostro Paese».

Cooper ha espresso la sua solidarietà alla collega Miller: «Sono con lei, le ho detto di essere forte».

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