Elsa Airoldi
Il titolo arriva da Cagliari dove, per la regia di Yuri Alexandrov e la conduzione di Gennadi Rozhdestvenki, Cerevicki, opera comico-fantastica di Pëtr Ciaikovskij, aveva aperto la stagione del 2000. In prima italiana, come spesso al Lirico della gestione Meli. Che nel 2003 propone, dello stesso autore, il dramma coevo Opricnik. Medesimo direttore e altro debutto nazionale. Il primo titolo di Cerevicki è Vakula il fabbro. Che vince il concorso indetto dalla Società Musicale Russa di Pietroburgo, è rappresentato al Mariinskij il 6 dicembre 1876, nasce dal racconto di Gogol La notte di Natale, ottiene un certo successo, è ripreso per tre stagioni. Ma l'autore, insoddisfatto, nel 1885 torna su libretto e partitura. Vakula il fabbro divenuto Cerevicki, Gli stivaletti, gode di maggiore sintesi.
Ai ritocchi del testo fanno seguito quelli della partitura. Cerevicki è presentato al Bolshoj di Mosca il 31 gennaio 1887. Poi il titolo scompare dal repertorio anche in patria. Dalle nostre parti resta solo l'eco di un misterioso I capricci di Ossana. La storia fantasiosa e incongruente racconta di Solocha, maga, madre di Vakula, variamente concupita, diavolo Bes in testa. E di Oksana figlia di Cub che rifiuta l'amore di Vakula consentendo di sposarlo solo in cambio del dono, impossibile, degli stivaletti della zarina. Allora Vakula, il personaggio più pateticamente ciakovskijano, si dispera, medita il suicidio. Interviene il diavolo che promette l'amore in cambio dell'anima (caro, vecchio Goethe!).
L'azione è ambientata in Ucraina, e di matrice ucraina è la ricca matrice popolare che vena la partitura. Se la prima versione, Vakula il fabbro, è ancora allineata alla corrente nazionalistica dei «cinque», la seconda, Gli stivaletti di un Ciaikovskij ormai maturo, propone tutti i caratteri distintivi dell'autore, legato alle radici ma sensibile alla lezione dell'occidente.
Alla Scala, da lunedì all'11 ottobre, arriva dunque questo Ciaikovskij sconosciuto. «I motivi - sostiene lo scenografo e costumista Vjaceslav Okunen - sono la presenza eccessiva del folclore e l'assenza di una matrice shakespeariana...». Non convince. La rielaborazione dei temi popolari è il leitmotiv del Ciaikovskij più amato e eseguito. E quanto a Shakespeare è tutto da vedere. Il libretto che allinea fabbri e zar, sentimenti e fantasie, demoni e elegie, maghe, piazze, notti di festa non pare l'esempio più eclatante di «gran teatro del mondo»? Del resto, durante l'incontro in Sala Gialla, lo scenografo fa il sostenuto. Insomma il suo impianto è fedele o una trasposizione? Non lo dice, ma sappiamo che l'intera scenografia ruota sul tema dell'uovo. Quello povero delle feste e dei lutti contadini, e soprattutto quello bellissimo, tutto smalti e gemme preziose, che Fabergé cesellava per gli zar. E che i costumi sono una favola. Loquacissimo il regista. Disserta su Gogol, sulla doppia faccia, sul surrealismo. Addirittura sulla sua morte. Sepolto vivo e ritrovato nella bara e faccia in giù.
Delizioso il direttore norvegere Arild Remmereit, classe '61 e molta esperienza, gavetta in Ucraina inclusa. Dice poco perché ha avuto a disposizione solo un mese. Si scusa. Ci fa pentire della malagrazia che gli riservammo qualche mese fa, quando, primo di una lunga serie, salì sul podio al posto di Muti. E ci parve una profanazione. Anche adesso è un sostituto. Gli stivaletti avrebbero dovuto essere diretti da Rostropovich, assente per motivi personali. Ma almeno questa volta è inserito nella stagione della Filarmonica.
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