Cronache

Ciak, luci rosse a Palazzo Rosso

Il regista promette: «Sono stato benissimo e tornerò per girare qualche scena sull’amore tra Anita e Giuseppe Garibaldi

Ciak, luci rosse a Palazzo Rosso

Silvia Pedemonte

«Uomini e donne frementi di passione… Questo film, è dedicato a voi». Madame De Saint Ange guarda fissa la macchina da presa, rompe l’incanto dell’autoimmedesimazione, mette le mani avanti con i puritani che sgranocchiano pop corn in sala e prende sottobraccio lo spettatore per accompagnarlo in un viaggio. Il viaggio nella Settecento del marchese De Sade (La philosophie dans le boudoir) e di Choderlos de Laclos (Les liasons dangereuses); il viaggio nelle 48 ore di Eugènie, viso da cerbiatta ingenua che nel regno di Madame De Saint Ange («luogo segreto di peccato e amore») scoprirà incertezze, paure, fremiti, lacrime e orgasmi della sua iniziazione sessuale. Il viaggio nella Genova che, fra le stanze davvero segrete (in quanto non aperte al pubblico) di Palazzo Rosso e gli esterni girati a Villa Serra di Comago fa da scenario a L’educazione sentimentale di Eugènie, il film del regista siciliano Aurelio Grimaldi nelle sale dal 17 giugno.
Secolo dei lumi: il Duca di Mistival (interpretato dal genovese Boris Vecchio) decide di affidare la figlia diciottenne Eugènie (Sara Sartini) alla libertina Madame De Saint Ange, aristocratica conosciuta e amata carnalmente dal padre stesso all’insaputa di quella moglie (Guia Jelo) bigotta che fa fare ad Eugeniè il bagno vestita perché «ogni corpo è fonte di peccato». Madame accoglie con gioia (e un bacio passionale) la virginale Eugeniè; poi, dà inizio al piano per educare (nei costumi, nella conoscenza filosofica, nella vita sessuale) la ragazza e al contempo soddisfare la sua voglia più recondita: conquistare il Marchese di Dolmancé (Valerio Tambone), stallone dal ghigno esasperato, a tratti irritante ma di sicura prestanza sessuale e con un unico credo («l’uomo saggio e l’astuto filosofo sono sempre alla ricerca di esperienze nuove»). A detta maschile. Sì, perché il Marchese che ama gli uomini è il cruccio di quella Madame De Saint che conosce nel dettaglio l’ars amatoria del bel Marchese fin nei più piccoli dettagli, grazie al racconto del fratello-amante, il Cavaliere de Mirvel (Cristian Stelluti), che con l’uomo ha avuto la prima esperienza sessuale prima di gettarsi nei piaceri della carne femminile. Un intreccio a cinque (va aggiunto infatti il servo Augustin - Salvatore Lizzio - che gode del piacere della prima notte con Eugènie) per un film buffo, dall’erotismo che non offende né stupisce forse per via dei dialoghi («Ho tentato di mantenere un linguaggio del 700, con un tono lezioso e aristocratico e un ritmo musicale alle battute» spiega il regista alla prima del film a Genova, in Sala Sivori), forse per via degli attori che ammiccano, ma non intrigano (eccezion fatta, a tratti, per Madame De Saint Ange). Insomma: erotico ma mai volgare. Anche se nudi e prodezze sessuali di vario genere non mancano.
«Il film è tratto dal romanzo di De Sade meno sadico e più ironico - racconta Grimaldi, siciliano, ex insegnante autore di Mery per sempre e poi regista di Rosa Funzeca, La donna lupo, Nerolio e Le buttane - è “alleggerito”, insomma: nella scena finale, per esempio, abbiamo lasciato intendere che fine farà la madre di Eugènie, accorsa nel regno della perdizione di Madame per riprendersi la figlia, senza violenza alcuna. Un “castigo” buffo, lontano dalle torture presenti in De Sade».
Grimaldi, che reputa De Sade più attuale, stimolante e verosimile di «quel Papa Giovanni II che stimo ma che, dall’inizio del suo pontificato alla morte non ha cambiato una virgola sulle posizioni della Chiesa in merito alla sessualità. Masturbarsi è ancora peccato, fa ancora diventare ciechi» e che minimizza espressioni che potrebbero dar fastidio a molti, in sala («Il 700 è il secolo dei lumi: sentire il Marchese di Dolmancé dare del ciarlatano a Dio non dovrebbe irritare alcuno: basta tenere presente in che secolo il film è ambientato») dice di avere un ottimo rapporto con quella Genova che, a dire la verità, non molto ha valorizzato. Colpa della qualità, certo (è il primo film in digitale del regista), del budget limitato («Anche per questo mi sento genovese: so essere parsimonioso come pochi altri!» scherza divertito), magari anche della trama che necessitava, senza dubbio, di ben pochi esterni. Allora, si aspetta il prossimo film: perché il regista che vede la sessualità come un qualcosa di drammatico e che ha nel cassetto una trilogia su Aldo Moro (tre ore e quaranta di girato, mancano gli ultimi venti minuti ma le casse piangono liquidi) promette: «Tornerò a Genova. Mi sono trovato benissimo con la Film Commission e con il direttore di Palazzo Rosso, Eugenio Boccardo («che, strada facendo, durante le riprese aveva il volto sempre più preoccupato» ride). Alla città sono affezionato, perché qui abita mia sorella. E, presto, farò un film sull’amore fra Garibaldi e Anita: gireremo qualche scena qui. Poi, ricostruiremo Genova in Brasile, dove gireremo interamente il film». Attendiamo, come De Sade ha insegnato.

«In attendere, è la gioia più compita».

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