nostro inviato a Como
Adesso in carcere ne hanno unaltra di ossessione. Una a testa, per la verità. «Stare soli per un po di tempo, magari per una mezzoretta», come ha detto Olindo Romano anche allavvocato Pietro Troiano. Il legale suo e di Rosa, il legale che, rivoltando il fango nauseabondo che si è trovato per le mani, dovrà ingegnarsi, da qui al processo, per trovare un filo, sia pur sottile ma pulito, cui appendere la sua strategia difensiva. Anche Rosa ha voglia di vedere il suo Olindo, certo. Anche lei lha domandato, ma più insistentemente ha chiesto di avere un asse da stiro, con relativo ferro.
«Così, oltre a non annoiarmi potrei stirare la roba mia e anche quelle delle altre detenute», come ha specificato nella richiesta alla direzione del carcere Bassone di Como. Per il resto, controllata e ricontrollata dalla spioncino della sua cella disolamento, nella sezione femminile, sfoglia con aria distratta i giornali che le hanno messo sul comodino, zeppi di fotografie e di articoli che la riguardano. E pilucca, con aria un po schifata, lei che era abituata a cucinare senza sale e senza dado, i pasti che le arrivano. Nel vassoietto del catering, perché il «trattamento speciale» che riguarda lei e il marito prevede che, a scanso di avvelenamenti e vendette da parte di altri reclusi, il cibo loro destinato non venga preparato alla mensa del carcere. Padre Giovanni Milani, cappellano del Bassone non è tipo da enfatizzare le situazioni o sprecare parole inutili, ma su una cosa è piuttosto chiaro «Sia Rosa, sia il marito Olindo sembrano tranquilli, sereni. Non hanno espresso fino a oggi alcun pentimento per quel che hanno fatto, quella sera. Sembrano vivere ancora in uno stato di distacco dalla realtà».
Vedere la sua Rosa. La nuova ossessione di Olindo. Starsene seduti luna accanto allaltro. Magari anche senza parlare, come quando guardavano la tv sul divano bianco nellappartamento che era anche il loro forte inespugnabile. Olindo fuma una sigaretta dopo laltra e passa gran parte della giornata disteso a letto. Certo anche in carcere, la prima notte non ha potuto riposare in pace come desiderava tanto in via Diaz, visto che i detenuti del Bassone, 350 persone a larga maggioranza maghrebini, li hanno accolti al grido di «A morte a morte» battendo le posate contro le sbarre delle loro celle appena hanno saputo della loro confessione. Romano non si è scomposto allora e non si scompone adesso nella sua nuova dimora: quattro metri per cinque nel reparto osservazione dellinfermeria del carcere. Non perché stia male ma perché non cè altra soluzione per isolarlo. Larredamento non è forse quello che i coniugi volevano prendersi con un altro mutuo: un tavolinetto, una mensola su cui cè un televisore 14 pollici che non ha mai acceso un comodino e unabat-jour.
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