Ciclismo, sabato parte il Giro No all’antidoping a orologeria

La sospensione di Pellizotti a pochi giorni dal Giro, per un controllo effettuato al Tour 2009, lascia molti sospetti. Il corridore rischia 2 anni

Ciclismo, sabato parte il Giro 
No all’antidoping a orologeria

Il solito ingresso trionfale al Giro d’Italia: quattro giorni prima, silurato per doping uno dei personaggi più noti, l’ossigenato Franco Pellizotti. Il cosiddetto Delfino di Bibione, decisamente sopravvalutato grazie ai superlativi del cantore personale Auro Bulbarelli, paga i valori ballerini del proprio sangue. Spiegazione tecnica: dalla primavera del 2008, ogni atleta è accompagnato dal passaporto biologico, che riporta il monitoraggio continuo del fisico. Se il controllo antidoping tradizionale è la fotografia di un momento, il passaporto va considerato il film di un’intera vita. Pellizotti cade con variazioni troppo sospette. Per chiudere la noiosa spiegazione, va aggiunto che adesso il corridore - con lui lo sloveno Valjavec e lo spagnolo Prado - dovrà difendersi in un processo del Coni, con la seria possibilità di subire il classico biennio di squalifica.

Ma non è certo per gli impallinati che vanno spese molte parole: chi ancora oggi, dopo un decennio di catastrofi, si fa pescare dopato merita soltanto di andarsene bellamente al diavolo. Se invece Pellizotti riuscirà a dimostrare la propria innocenza, allora farà bene a scatenare tutte le richieste di risarcimento danni che la vicenda gli sta procurando. In ogni caso, per il Giro non è una brutta notizia: in primo luogo si libera di un corridore discusso, in secondo luogo guadagna un sostituto molto più bravo, quel Nibali che è talento vero.

Ma veniamo al punto. Tre fermati sono in sé un dato confortante, da considerare ormai fisiologico, sui grandi numeri delle grandi manifestazioni internazionali. A rendere veramente pesante la vicenda, ancora una volta, è solo la stranissima scelta di tempo. Puntualmente, non appena si sente riparlare di un grande Giro, ecco la bomba intelligente che va a colpire l’obiettivo sensibile. Altre volte ci hanno liquidato parlando di fatale coincidenza. Ma stavolta la Federazione internazionale, nota come Uci, fatica a convincere con questa teoria: la variazione ematica che inguaia Pellizotti risale alla vigilia del Tour 2009. Non solo: l’annuncio della procedura di siluramento viene consegnato al corridore lo scorso 3 marzo. Tutti mormorano da tempo, davvero bisognava aspettare la vigilia del Giro per premere il detonatore?

Ovviamente questa non è una difesa di Pellizotti. Non ne merita. Resta memorabile, un vero pezzo da actor-studio, l’intervista che ancora una settimana fa, 28 aprile, due mesi dopo aver saputo d’essere spacciato, rilascia alla Gazzetta, una sublime recitazione del genere «Tranquilli, tutto a posto, voglio vincere». Sorvoliamo perché sappiamo bene che l’atleta dopato è per sua natura attore nato e bugiardo professionale. Troppe ne abbiamo viste e sentite, per starli ancora a sentire. Restiamo invece al problema più serio: perché il governo sportivo non ha evitato, almeno stavolta, l’odiosa bomba a orologeria, piazzata sotto la carovana del Giro e fatta brillare proprio al momento di mettersi in moto?

Fornirei questa risposta: l’antidoping è un business enorme, per accreditarsi e ingigantire il proprio prestigio ha bisogno di tanta pubblicità e di tantissimo clamore. Se l’annuncio su Pellizotti e gli altri due sveglioni fosse arrivato troppo presto, sarebbe finito presto tra le brevi. Oggi, ne parla il mondo intero. Non è la stessa cosa, per chi deve fare un figurone.

Poi c’è una seconda questione, molto più sottile: da sempre, per varie vicende e per fisiologica incompatibilità di carattere, all’Uci stanno sull’anima gli italiani. Se c’è un modo per fare un dispetto agli italiani, i capi del ciclismo sono ben lieti di trovarlo. Chiaramente non potevano lasciarsi sfuggire un’occasione d’oro come questa, sfregiare il Giro in piena vigilia. A livello formale sono inattaccabili e ineccepibili. Loro si muovono sempre nel rispetto della privacy, a loro preme soltanto la pulizia dello sport. Così si sciacquano. Peccato che neppure qui in Italia vivano dei bingo-bongo con l’anello al naso. Abbiamo parecchi dopati, ma non siamo tutti beoti.

Che i loschi escano dal giro e dal Giro interessa a noi quanto a loro. Più a noi che a loro. Però, se continuano a piazzare le loro bombe intelligenti, niente ci impedirà di concludere nel modo più amaro: il doping è una cosa sporca, ma nemmeno l’antidoping è poi così pulito.

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