"Quando al Tour del ’75 mi divorai il Cannibale..."

50 anni fa il campione italiano Francesco Moser rovinò la festa a Merckx in casa sua: "Ci rimase male, ancora me lo rinfaccia"

"Quando al Tour del ’75 mi divorai il Cannibale..."
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Merckx ha appena festeggiato i suoi 80 anni, ma Francesco Moser si ricorda ancora benissimo quando cinquant’anni fa seppe rovinare la festa al Cannibale sulle strade del più vincente corridore della storia.
È il 1975, il Tour parte dal Charleroi, in Belgio, sulle strade di sua maestà Eddy Merckx, che nel suo paniere ha già cinque Tour de France. «Ero un ragazzo al mio primo Tour, ma francamente non sentivo il peso delle responsabilità – ci racconta Francesco Moser, 74 anni, vincitore di un Giro e di un mondiale -.
Ho sempre affrontato le cose della vita con determinazione, mai con titubanza o paura. In bicicletta mi sentivo a mio agio: perché mai avrei dovuto temere qualcuno?».
Beh, aveva a che fare con Eddy Merckx.
«Ma le corse sono una verifica costante della nostra forza e delle nostre ambizioni: nessuno parte battuto, nessuno può dirsi già vincitore. Difatti, quel giorno (il 26 giugno), vinsi a sorpresa io per soli 2”...».
Non la prese benissimo il Cannibale.
«Una cosa è certa: a Eddy non piaceva mai perdere. Se poteva vinceva anche tutti i circuiti, cosa che mi ha sempre accumunato a lui, anche perché è una regola elementare di tutti i grandi campioni.
Se hai la testa da vincente vuoi vincere, non ci sono regali, non c’è fair-play. Oggi dicono: Pogacar vince troppo?
E perché non dovrebbe? Giacomo Agostini dava sempre gas, non per niente è una delle leggende dello sport. Chiaro, quel giorno a Charleroi Eddy ci rimase male, quando ci incontriamo, tra il serio e il faceto, ancora oggi me lo rinfaccia. Però quel giorno forse ci rimasero male più i suoi supporter, i tantissimi tifosi che erano sulle strade e gli organizzatori che avevano già preparato la maglia gialla con il suo sponsor (Molteni, ndr), convinti del suo successo. Fu il mio staff a far notare che la maglia non era giusta e prontamente ci applicarono un adesivo della Filotex, la mia squadra di allora».

Lei quel Tour lo concluse comunque 7° in classifica generale: poi non ci andò più, perché?

«Conclusi il Tour nei dieci e salì sul podio di Parigi con la prima maglia bianca della storia (nel’75 è nata anche la maglia a pois, quella del gran premio della montagna, ndr), quella riservata al miglior giovane della corsa. Con un pizzico di fortuna in più sarei anche potuto salire sul podio, ma una caduta mi fece perdere più di 9’. Perché poi non sono più tornato sulle strade del Tour? In quel periodo il ciclismo che contava era in Oggi da Lille parte la corsa e sarebbe bello cominciare con un ragazzo italiano come Milan in maglia gialla Pogacar o Vingegard?
Può succedere di tutto ma se Tadej va come sa andare non ci sarà partita Italia. Le squadre più importanti e i corridori più prestigiosi correvano sulle nostre strade. Guardate Eddy Merckx, ha corso e si è formato da noi, il vero Merckx è ciclisticamente “italiano”. Quindi gli sponsor ci tenevano di più che io corressi il Giro piuttosto che il Tour. Oggi le cose non sono più così, si sono totalmente ribaltate da anni: al mondo non c’è corsa più importate della Grande Boucle e il ciclismo italiano si è svuotato e ristretto come un ghiacciaio».

Oggi il Tour parte da Lille con una tappa che potrebbe anche sorriderci: è per velocisti e noi abbiamo Jonathan Milan...

«Speriamo, sarebbe bello cominciare il Tour con un ragazzo italiano in maglia gialla. Jonnhy è un bellissimo atleta, dalla potenza devastante, ma forse è ancora un po’ acerbo a livello tecnico.

Mi sembra un po’ timoroso e un velocista non può esserlo.

Un vero sprinter deve avere fiuto e colpo d’occhio e Jonnhy è forse ancora un po’ troppo “buono”, ma io faccio il tifo per lui, spero proprio che possa partire subito con un guizzo da campione, che lo proietterebbe certamente in un’altra dimensione».
C’è anche Filippo Ganna.
«Altro atleta di primo livello. Sulle doti di Pippo non si discute, ma è uomo da tappe e spero che almeno uno degli 11 ragazzi che difenderanno la storia del ciclismo italiano possa rompere il digiuno che è datato 2019, quando l’ultimo a vincere una tappa sulle strade di Francia è stato Nibali. Sono 106 tappe che non ne vinciamo una: troppe».



Pogacar o Vingegard?
«Il Tour è duro, c’è tanta salita e il caldo e gli sbalzi di temperatura compresa l’umidità saranno componente determinante di questa corsa.
Sulla carta il danese ha il terreno per provare a mettere nel sacco lo sloveno campione del mondo, ma se Tadej va come sa andare, allora non ci sarà partita».

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