
Inizialmente pensava che fosse la sua copia: quindi un campione. Poi ha capito che era di gran lunga più forte e completo di lui: mai avrebbe però pensato che quel ragazzino acerbo con il faccino da bimbo si sarebbe avviato a diventare il corridore ciclista più forte di tutti i tempi. Beppe Saronni non è propriamente un corridore qualsiasi, difatti ha vinto tanto, molto e poi ha saputo anche individuare il talento di chi sapeva pedalare. Ha scoperto in pratica il prodigio del ciclismo contemporaneo: Tadej Pogacar. «Sapevo di aver in mano una pietra preziosa» confida al King's di Jesolo, durante la serata di gala in suo onore voluta da Maurizio Pivetta, «ma poi mi sono trovato con un diamante dal valore inestimabile».
Come ha fatto a scovarlo?
«Non posso raccontarle storie: ho avuto solo fortuna. Tanta fortuna perché degli amici sloveni mi avevano segnalato questo ragazzino juniores, che già faceva delle cose incredibili con una facilità pazzesca, fuori dal comune e il mio merito non è stato altro che dare retta a questi emissari di cui mi fidavo ciecamente».
Quando ha visto per la prima volta Tadej?
«Era una tappa del Giro del Friuli che arrivava in cima ad una salita piuttosto dura. Ero in ammiraglia con il suo CT, Andrej Hauptman, un caro amico, un mio ex corridore che negli anni mi ha segnalato tantissimi corridori sloveni come Spilak, Mohoric e Polanc. In verità non fu lui a chiamarmi, ma Fabrizio Bontempi, con il quale aveva un filo diretto e lavorava per me: Capo, c'è un ragazzino sloveno che è la fine del mondo. Ancora, gli dissi. Pensi che mi hanno dovuto convincere e alla fine sono andato a vederlo in incognito».
Cosa la colpì di questo ragazzino?
«La facilità con cui Pogacar pedalava. Ero basito: o questo è totalmente scemo o è un fuoriclasse assoluto. Insomma, mancava poco all'inizio della salita finale e lui era venuto indietro a fare lo stupido con Andrej. Ad un certo punto parla in sloveno con Hauptman: i due ridono e scherzano. A quel punto chiedo ad Andrej cosa si erano detti e lui mi riferisce che il ragazzo gli ha detto: guardami, a metà salita parto e arrivo da solo. Insomma, era esattamente come lo vedete oggi già a 18 anni».
Chiaramente ha vinto?
«Chiaro. E non ebbi dubbi sul prenderlo e metterlo sotto contratto facendogli firmare una scrittura privata. Nel frattempo vince il Lunigiana e poi anche il Tour de l'Avenire: insomma, prodigio assoluto anche in culla».
I tifosi lo adorano, soprattutto i bimbi e i ragazzini; il mondo del ciclismo per così dire più colto, storce il naso. Che spiegazione si dà?
«Non capiscono nulla. Prevale la loro incapacità a comprendere il talento. Come si fa a non innamorarsi di Tadej? Qualcuno ha scritto che uccide il ciclismo. Io credo che tolga solo discussione. Se proprio vogliamo trovare il pelo nell'uovo Tadej è talmente forte che uccide sul nascere la rivalità e il confronto. Prendete Remco Evenepoel: è fortissimo. Potrebbe essere l'avversario ideale, ma c'è troppa differenza, non arrivano a giocarsi le corse spalla spalla, ma lo tramortisce prima.
Ecco, l'unica cosa che uccide è una sana rivalità, ma qui siamo di fronte a qualcosa di rara bellezza e bisogna semplicemente lasciarsi andare, come quando si guarda una magnifica aurora, ben sapendo che un giorno, anche per Tadej, arriverà il tramonto».