da Roma
In questi anni decisamente magri, per il cinema italiano, è la grassezza di certe mandrie che colpisce di più. Come quelle di Leonardo Pieraccioni, regista che normalmente impingua i botteghini nostrani, con le sue commedie scanzonate, apparentemente banali, in realtà costruitissime. A partire dalla sua opera prima, I laureati, che incassò la bellezza di tredici miliardi del vecchio conio. Successivamente, Il ciclone, con i suoi settantotto miliardi di vecchie lire, avrebbe spazzato via ogni remora e non solo al box-office. In Italia, è noto, chi non risulti devoto allengagement (limpegno, si diceva un tempo) non è degno di nota. Però anche Fuochi dartificio, settantadue miliardi, non andò male (parliamo sempre della vecchia, cara lira italiana). Né fece tutto questo flop Il pesce innamorato (venticinque miliardi). Il paradiso allimprovviso poté contare su cinquantasei miliardi... Eppure, cè chi prende Il ciclone come pietra miliare, mai più raggiunta. «Dico sempre la stessa cosa», commenta il regista, in partenza per unaltra ripresa di Ti amo in tutte le lingue, «girare Il ciclone è stato come fare la partita Italia-Brasile, vincendo 2 a 0 e segnando da centrocampo».
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