Paolo Stefanato
da Milano
LAlitalia «più vola e più perde». Nel semestre chiuso a giugno la perdita netta è stata pari a 51mila euro allora. Esattamente quella che denunciava tre anni fa lallora amministratore delegato Francesco Mengozzi: due anni, un prestito-ponte, un nuovo piano industriale, lo scorporo delle attività di terra e una ricapitalizzazione da un miliardo sembrano non essere serviti a nulla. Nel contesto attuale la compagnia «non è in grado di generare redditività neppure per il capitale già investito». Mantenendo lattuale assetto si ripeterà «lesperienza passata di progressiva erosione del capitale», semmai «con maggiore rapidità, dato il veloce affermarsi di concorrenti low cost». Il vertice dellAlitalia ha consegnato alla Commissione trasporti della Camera un documento sul drammatico stato della compagnia in vista dellaudizione del presidente e ad, Giancarlo Cimoli, fissata per l11 ottobre. Nel momento in cui lazienda aveva annunciato nuove misure di piano industriale, questo testo appare da un lato come un allarme da ultima spiaggia, dallaltro come una disperata ricerca di responsabilità esterne. (Più 0,8% ieri in Borsa).
Cimoli lancia accuse ovunque, elencando inefficienze di sistema che impediscono alla compagnia di muoversi e di lavorare con lagilità di unimpresa normale. In gioco cè la sopravvivenza stessa della società. Purtroppo, si tratta di timori troppe volte sollevati negli ultimi cinque anni: stesse accuse e stessi rischi, senza alcuna soluzione, sotto la guida di tre diversi amministratori. Tutto fiato sprecato.
Cimoli denuncia leccessivo potere delle organizzazioni sindacali, se la prende con lo il ruolo dellEnav, rilancia lesigenza di consolidamento con altri vettori nazionali per poter fare massa critica e rispondere adeguatamente alla domanda. Accusa gli aeroporti di usare pesi e misure diverse secondo i clienti, favorendo le compagnie low cost. Secondo Cimoli occorrono interventi rapidi e profondi, dando «una prima, ancorché robusta, iniezione di razionalità e di legalità in un mercato che, per anni, sembra averne quasi volutamente fatto a meno». Lallusione al potere politico è evidente. Nel documento si sottolinea la necessità di ridurre i costi e di garantire flessibilità nella gestione del personale. Il costo di questultimo «è spesso superiore di oltre il 50% rispetto a quello degli altri vettori nazionali», con equipaggi sovradimensionati. E i ricavi per passeggero/chilometro sono inferiori a quelli dei concorrenti europei. Frutto di ventanni «di difficoltà e di carenza di incisività gestionale». Cimoli chiede - giocando quasi il tutto per tutto - «la ridefinizione di regole di impiego e di benefici contrattuali, la possibilità di promuovere su base meritocratica, la possibilità di assumere dallesterno e quella di adibire a mansioni di terra il personale navigante che non può volare, lutilizzo di adeguati strumenti per la gestione dellorganico in esubero».
Tra le richieste, quella di eliminare le distorsioni alla concorrenza (aeroporti), di evitare le ripercussioni di inefficienze di sistema (Enav), di garantire un quadro infrastrutturale più congruo, di supportare la compagnia nella «necessaria opera di adeguamento al nuovo contesto di settore secondo logiche di intervento accettabili in sede internazionale». Allarmante il dato sullassenteismo del personale navigante, pari al 10%, «lontanissimo da qualsiasi ragionevole riferimento».
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