Roberto Fabbri
Centosettantaquattro milioni di cinesi in età pensionabile tra cinque anni: per intendersi lintera popolazione di Italia, Gran Bretagna e Francia. Una folla sterminata di ultrasessantenni (ma oltre 21 milioni di loro avranno più di ottantanni) che nel 2010 busseranno al sistema previdenziale della Cina popolare. Ma non è affatto detto che ne ottengano risposte confortanti (la pensione, in sostanza) ed è anzi più che probabile, soprattutto per gli abitanti delle campagne, che lo «Stato degli operai e dei contadini» sbatta loro la porta in faccia, affidandoli alle cure della più privata delle istituzioni private: la famiglia.
Lonnipotente partito comunista non ha finora fatto bene i conti con il problema tipico delle società sviluppate, linvecchiamento della popolazione. Per decenni, è vero, la Cina comunista è stata tuttaltro che benestante e solo lintroduzione ai tempi di Deng Xiaoping di elementi di capitalismo selvaggio ha fatto sì che le condizioni di vita del popolo potessero finalmente elevarsi. Non per tutti, però: sono emerse fortissime diseguaglianze sociali, mentre vengono consentite situazioni di sfruttamento sul lavoro che negli esecrati Stati borghesi dellOccidente sarebbero intollerabili.
Al di là della propaganda, i comunisti al potere in Cina dal 1949 hanno sempre privilegiato lurbanizzazione a scapito delle campagne. Non è un caso se ancora oggi lassistenza sociale nelle province rurali è di fatto inesistente, se i contadini sono tenuti a pagarsi le spese mediche e se possono far conto solo sui figli per il loro sostentamento nella vecchiaia. Si tratta di dati ufficiali, forniti dal Piano quinquennale per linvecchiamento 2006-2010 appena approvato dal Consiglio di Stato cinese. Dati che precisano che i contadini in età da pensione, ma che appunto non ricevono dallo Stato né un assegno danzianità né una qualsiasi forma di assistenza medica o sociale, sono oltre 85 milioni, ovvero i due terzi degli anziani di tutta la Cina. E che costringono i governanti di Pechino a un cambiamento - per loro - rivoluzionario: estendere il welfare nazionale alle misere e sterminate campagne «per garantire la stabilità sociale».
Ma come conta il governo di assicurare a un numero gigantesco di nuovi beneficiari prestazioni che per quanto prevedibilmente modeste avranno comunque un costo altissimo? Il regime in difficoltà fa ricorso ancora una volta, laddove questo sia attuabile senza pericoli per lelite che gestisce il potere totalitario, a ricette capitalistiche: nel Piano si parla senza ipocriti fronzoli in politichese di «mercato dei servizi per la terza età» e si afferma che «le imprese locali e i capitali stranieri saranno incoraggiati a investirvi, in modo da ottimizzare e diversificare lofferta nazionale».
La gestione dei vecchi contadini cinesi sarà dunque affidata al mercato, e già questa è una rivoluzione non da poco. Ma in arrivo cè ben altro. Linvecchiamento della popolazione porta infatti con sé un altro problema con il quale le nostre attempate società europee hanno già da tempo a che fare: quello della diminuzione della forza lavoro. Questo ha a sua volta delle conseguenze negative sulleconomia, in primo luogo ovviamente un calo della produttività. Nemmeno lo Stato cinese può permetterselo e del resto in Cina non esiste nemmeno più una retorica marxista che metta almeno a parole al primo posto i diritti dei lavoratori. Ormai il loro posto è stato preso da un nuovo idolo: la crescita economica, a cui quei diritti possono essere sacrificati.
Ecco quindi in arrivo nella Repubblica Popolare una svolta che farà rivoltare nella sua teca di cristallo la mummia di Mao: linnalzamento delletà pensionabile. Il crollo imminente di uno dei tabù portanti delle società a guida comunista viene spiegato con parole soavi dai ricercatori del dipartimento di Demografia e Sviluppo dellUniversità del Popolo di Pechino.
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