25 anni senza Akira Kurosawa: i 5 film nella storia

Da "Rashomon" a "Ran", il regista giapponese ha scritto pagina importanti della storia del cinema

Dersu Uzala (Cgtv)
Dersu Uzala (Cgtv)
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Pochi registi hanno tracciato un solco nella storia del cinema come Akira Kurosawa. Tra i più grandi registi della storia del cinema, non solo orientale, il cineasta giapponese ci ha lasciati 25 anni fa, ma la sua arte lo ha reso immortale. Tra successi e flop, tra trionfi e fallimenti, tra vittorie e tentati suicidi, Kurosawa è riuscito a costruire un ponte tra i due estremi del mondo, diventando un precursore della contemporaneità. Uno dei suoi principali meriti è quello di aver trovato la formula in grado di coniugare estetica e trama, senza sacrificare l’una o l’altra: lo straordinario equilibrio tra forma e contenuto. Lo spartiacque fu “Rashomon”, suo dodicesimo lungometraggio che ha scardinato le regole del cinema, introducendo un’innovativa struttura drammaturgica. Da Sam Peckinpah a Quentin Tarantino, sono tanti, tantissimi i registi influenzati dal nipponico. “Il mio maestro”, le parole di un certo Martin Scorsese. Oggi, a 25 anni dalla sua morte, andiamo a riscoprire i 5 migliori film della sua straordinaria carriera.

Rashomon (1950)

Come anticipato, “Rashomon” è il film della svolta per Kurosawa. Ispirato principalmente al racconto Nel bosco di Akutagawa, il dodicesimo lungometraggio del cineasta giapponese racconta l'indagine sull'omicidio di un samurai, ucciso all'interno di un bosco dal brigante Tajomaru. Girato con un budget bassissimo nella foresta vergine di Nara, “Rashomon” ha riscritto le regole del gioco con la sua struttura a flashback, senza dimenticare la fotografia di Kazuo Miyagawa e in particolare l’utilizzo della luce. Impossibile non menzionare Toshiro Mifune, tra i più acclamati interpreti nipponici del Novecento. Il film vinse il Leone d’oro alla Mostra d’Arte Cinematografica Internazionale di Venezia e qualche mese più tardi l’Oscar come miglior film straniero.

I sette samurai (1954)

Quattro anni dopo “Rashomon”, Kurosawa girò un altro film entrato nella storia della settima arte: “I sette samurai”. Considerata l’opera magna del regista, la pellicola è ambientata nell’era Sengoku e racconta la storia di un villaggio di contadini che, attraverso suoi rappresentanti, assume dei Rōnin per difendersi dai ciclici saccheggi di un gruppo di briganti. Denso di significati, anche “I sette samurai” si contraddistingue per l’eccezionale impianto visivo e per una scrittura cinematografica raffinatissima. Nel 1960, sei anni dopo l’uscita, venne realizzato il remake americano diretto da John Sturges con protagonisti Yul Brynner, Eli Wallach, Steve McQueen, Charles Bronson, Robert Vaughn e James Coburn.

Dersu Uzala - Il piccolo uomo delle grandi pianure (1975)

Reduce da un momento delicato dal punto di vista personale – una profonda crisi lo portò a tentare il suicidio – Kurosawa nel 1975 sfornò un altro capolavoro: “Dersu Uzala – Il piccolo uomo nelle grandi pianure”. Produzione russo-nipponica tratta "Da due libri di viaggio" di Vladimir K. Arseniev, si divide tra dramma e avventura con una riflessione non banale sul rapporto tra uomo e natura. Un ritorno in grande stile per Kurosawa, vincitore del premio Oscar al miglior film straniero.

Kagemusha - L'ombra del guerriero (1980)

I lati oscuri del potere e la contrapposizione tra realtà e finzione in “Kagemusha – L’ombra del guerriero” del 1980. Vincitore della Palma d'oro del Festival di Cannes ex aequo con “All That Jazz - Lo spettacolo comincia” di Bob Fosse, il lungometraggio è ambientato nel Giappone del Cinquecento e racconta la storia di un ladro istruito per impersonare un signore della guerra per dissuadere i daimyo nemici dall'attaccare il clan, vulnerabile dopo la morte del signore. Un dramma storico potentissimo, ispirato alle faide politiche del Giappone del Sedicesimo secolo. Standing ovation per Tatsuya Nakadai, protagonista in un doppio ruolo

Ran (1985)

Il film della maturità, uno dei più grandi di sempre. Basato sulla tragedia shakespeariana “Re Lear” ma nel Giappone feudale, “Ran” indaga su corruzione e furore, confermando lo straordinario talento di Kurosawa.

Un dramma storico impetuoso, dalla potenza visiva indiscutibile e con una fotografia che strizza l’occhio all’espressionismo: ogni sequenza si presenta come un quadro, segno del gusto pittorico del cineasta e dei suoi collaboratori Asakazu Nakai, Takao Saitō e Shōji Ueda. Il film è stato premiato con l’Oscar per i migliori costumi, senza dimenticare la prima e unica nomination a Kurosawa per la migliore regia.

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